Maternità e lavoro – MammeUp https://www.mammeup.it Tutto per le mamme 2.0 Wed, 30 Sep 2020 15:33:10 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 Smart Working e bambini: trucchi e consigli https://www.mammeup.it/smart-working-e-bambini-trucchi-e-consigli/ https://www.mammeup.it/smart-working-e-bambini-trucchi-e-consigli/#respond Thu, 14 May 2020 08:00:34 +0000 https://www.mammeup.it/?p=36802 Il lockdown di queste settimane ci ha insegnato tante cose, tra cui che il lavoro da casa non è esente da criticità. Soprattutto per chi ha dei bambini lo smart working presenta notevoli difficoltà di cui è fondamentale tenere conto. Pianti e richieste durante una call con il proprio capo, pianti tra fratelli mentre è […]

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Il lockdown di queste settimane ci ha insegnato tante cose, tra cui che il lavoro da casa non è esente da criticità. Soprattutto per chi ha dei bambini lo smart working presenta notevoli difficoltà di cui è fondamentale tenere conto. Pianti e richieste durante una call con il proprio capo, pianti tra fratelli mentre è in corso una videochiamata con i colleghi, la concentrazione che stenta a consolidarsi e uno stress psicologico ed emotivo che cresce a dismisura.

Certo, la quarantena ha provocato problemi a tutti, nessuno escluso e la possibilità di aver potuto lavorare (e continuare a farlo) da casa, è sicuramente un privilegio. Ma non per questo non si devono registrare pesanti difficoltà. È quindi doveroso affrontare il rapporto tra smart working e bambini andando a individuare i maggiori problemi e a formulare parallelamente qualche ipotesi di soluzione.

Non esistono cure miracolose o formule magiche anche perché molto dipende dal tipo di lavoro, dal numero e l’età dei propri figli, dalla grandezza della casa e dal numero di persone adulte che la abitano. Ognuno di questi aspetti incide profondamente sulla gestione dei bambini durante lo smart working, ma è possibile comunque tracciare delle considerazioni generali.

Consigli utili per gestire i bambini durante lo smart working

Qualcosa è cambiato e continuerà a farlo

Il primo aspetto da sottolineare è quello relativo al cambiamento. Che non è solo quello che è ora alle spalle, ma anche quello del futuro. Non sappiamo come evolveranno le cose e quali condizioni si verranno a creare; è quindi fondamentale riuscire ad avere una certa flessibilità. Anche in termini di smart working e bambini. Certo, non tutti i lavori possono essere svolti da casa, ma è fondamentale resistere a una realtà nuova e in quanto tale diversa e per lo più sconosciuta.

Un consiglio importante è quello di creare delle abitudini e regolare la propria giornata. Lo smart working non è “lavoro quando mi sveglio”, in quanto ci sono sempre orari, appuntamenti e scadenze da rispettare. Per non rendere il tutto ancora più caotico, è fondamentale stabilire una disciplina che coinvolga non solo il lavoro, ma anche i propri bambini.

Tenere i bambini impegnati

Qui entriamo un po’ nel cuore del problema del rapporto tra smart working e bambini, ovvero l’occupazione dei più piccoli. Una reazione potrebbe essere quella di lasciare i bambini davanti alla televisione o ai social network; almeno così non disturbano, si divertono e le giornate passano abbastanza regolarmente per tutti. La realtà è più complicata e può tornare utile quanto sottolineato dai pediatri italiani che denunciano: “L’errore che i genitori in questo momento non devono commettere è sovraccaricare di compiti i propri figli per tenerli impegnati. Ci pensano gli insegnanti ad assegnare i compiti a casa e ognuno deve rispettare il proprio ruolo. I bambini stanno male per questi continui atteggiamenti richiestivi da parte dei genitori che creano danni enormi

Bisogna trovare un equilibrio che passa tra gli estremi di bambini annoiati e bambini schiavi degli impegni. Con l’organizzazione familiare, magari avvalendosi dell’aiuto del proprio partner, è necessario trovare attività da far fare ai bambini. Magari diversificandole nel corso della giornata e consentendo loro anche di riposare o giocare liberamente. Per questo si possono organizzare dei piccoli eventi, disporre la cameretta in modo che possano avere tutto a disposizione per poter trascorrere liberamente il proprio tempo.

Spazi e tempi per il lavoro

Come conseguenza della creazione di nuove abitudini di cui abbiamo già parlato, l’altro aspetto urgente è quello di regolamentare sia gli spazi che i tempi del lavoro. Poter contare su una postazione di lavoro fissa, per quanto il notebook resta lo strumento principe dello smart working, aiuta a sviluppare una regolarità che mantiene alta la concentrazione e la produttività. Munisciti di ciò che hai bisogno e che ti è indispensabile; sistema lo spazio di lavoro in una posizione comoda, ben illuminata e dotata delle prese elettriche necessarie. Un consiglio è anche quello di analizzare qual è la zona della casa dove prende meglio il segnale sia telefonico che della connessione WiFi e posizionare lì la propria postazione.

Sul discorso tempi bisogna ricordare sempre come la vita non sia il proprio lavoro e un’eccessiva sovrapposizione di queste due sfere riesca di essere nociva per entrambe. Una tendenza riscontrata nelle settimane di lockdown è quella di riduzione della cognizione temporale, ritrovandosi a lavorare per parecchie ore anche perché privi di altre attività da fare. Chi lavora in smart working e ha dei bambini deve stare ancora più attento e mantenere una sana e netta distinzione tra le due aree della vita, dedicando il tempo necessario alla crescita dei propri bambini.

Una pausa per grandi e bambini

Anche in virtù di quanto appena detto è utile sottolineare la necessità di prendersi una pausa. Dal lavoro, ma anche dallo studio o dal gioco. Fare la stessa cosa per troppe ore continuamente rischia di logorare quell’attività, anche fosse la più divertente. È necessario sforzarsi, ma è un sacrificio che paga, sia nel breve che nel lungo termine. E una pausa dallo smart working può essere il momento ottimale per stare con i propri bambini e capire se hanno bisogno di qualcosa.

Il lavoro non è tutto

Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: il lavoro non è e non può essere tutto. Può essere un’affermazione stonata in un ennesimo periodo di crisi economica e occupazionale, ma è un principio che deve essere ribadito. Innanzitutto per la tutela dei più fragili, in questo caso i bambini, ma anche di sé stessi. Le energie di cui si dispone non sono illimitate e bisogna saperle gestire con parsimonia e cura. Le energie si consumano, non raddoppiano e non si può dare la stessa cura al lavoro e ai bambini. Bisogna trovare un equilibrio, che non necessariamente è una via di mezzo e che non deve portare a ignorare l’unicità del momento. Questo significa che anche i bambini percepiscono le difficoltà di questo periodo storico, pur senza capirle, e hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a crescere, a vivere la loro vita e a costruire il loro futuro. Sia che si tratti di bambini che di ragazzi più grandi.

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Lavoro e maternità: leggi e diritti https://www.mammeup.it/lavoro-e-maternita-leggi-e-diritti/ https://www.mammeup.it/lavoro-e-maternita-leggi-e-diritti/#respond Fri, 28 Jun 2019 08:00:15 +0000 https://www.mammeup.it/?p=36463 Si sente spesso parlare di come le aziende limitino (o guardino come la peste) l’assunzione di donne in giovane età in quanto passibili di quella “terribile malattia” chiamata maternità. A tutela della crescita sana della famiglia e del periodo precedente e successivo al parto, è bene conoscere quali sono le tutele previste dalla legge per […]

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Si sente spesso parlare di come le aziende limitino (o guardino come la peste) l’assunzione di donne in giovane età in quanto passibili di quella “terribile malattia” chiamata maternità. A tutela della crescita sana della famiglia e del periodo precedente e successivo al parto, è bene conoscere quali sono le tutele previste dalla legge per tutte le future mamme. È innanzitutto doveroso precisare che sono spesso molte le modifiche che vengono apportate alle leggi in vigore sulla tutela dei diritti delle madri lavoratrici ed è quindi importante consultare le ultime norme che disciplinano questa materia.

Maternità, lavoro e licenziamento

La prima cosa che si deve sottolineare è che la gravidanza e la maternità non costituiscono un motivo, una giusta causa per utilizzare l’apposita terminologia, per il licenziamento. Il datore di lavoro, quindi, non può mai licenziare a una donna in gravidanza; tale divieto vale fino al compimento del primo anno di età del suo bambino.

La legge che regolamenta il rapporto tra maternità e lavoro a tempo determinato e indeterminato è il Testo Unico del Decreto Legislativo 151/2001 che stabilisce, sia per le lavoratrici a tempo pieno che per quelle in part-time, una serie di tutele che coprono tutto il periodo della gravidanza e quello successivo (allattamento). Durante la gravidanza le future mamme hanno diritto al:

  • congedo;
  • riposi giornalieri;
  • all’astensione;
  • ai permessi retribuiti;
  • congedi per la malattia del figlio.

Lo stato di gravidanza

Quando una donna scopre di essere incinta deve presentare al proprio datore di lavoro il certificato medico che attesta la sua gravidanza. Da questo momento accede a tutte le tutele previste dalla legge. Per avviare la pratica è possibile collegarsi al sito ufficiale dell’INPS (utilizzando le proprie credenziali di accesso) o rivolgersi a un patronato o ad altri professionisti autorizzati alla gestione di queste pratiche.

Il congedo

Il licenziamento è vietato, ma è obbligatorio concedere alla donna incinta il congedo pre e post maternità. La legge prevede l’astensione anticipata dal lavoro per maternità. Questa ha una durata di 5 mesi, che possono essere gestiti in maniera flessibile: due precedenti alla gravidanza e tre successivi alla stessa o altre combinazioni. Va specificato come il congedo per la maternità sia previsto anche per le donne che adottano un figlio. Durante questo congedo è previsto per ogni donna un’indennità giornaliera che è pari all’80% dell’ultimo stipendio percepito.

Astensione

L’astensione anticipata dal lavoro si richiede e si applica per tutte quelle mansioni che possono mettere a rischio la salute della donna e del bambino che porta in grembo. Similmente tale tutela è prevista nel caso in cui ci fossero delle complicazioni durante la gravidanza. Trattandosi di materia molto delicata, in questi casi è necessaria la documentazione medica rilasciata dall’ASL che spieghi e dimostri come, per il bene della mamma e del nascituro, sia necessario sospendere l’attività lavorativa.

Permessi retribuiti e riposi giornalieri

Ogni donna incinta può richiedere dei permessi dal lavoro retribuiti. Questi sono destinati a permettere alla neomamma di effettuare visite mediche, esami e accertamenti di vario tipo. Quando necessario la lavoratrice deve comunicare al proprio datore di lavoro i giorni e gli orari durante i quali si assenterà per sostenere queste visite e poi consegnarli il certificato, rilasciato al momento della visita, che attesti che la visita sia stata svolta regolarmente.

Le tutele sul lavoro

Esistono poi una serie di tutele per le donne che svolgono lavori particolari. La legge, infatti, stabilisce la cosiddetta maternità anticipata per lavoro a rischio a tutte le donne che svolgono lavori di fatica o che possono comportare un rischio per il corretto svolgimento della gravidanza. In questo caso è possibile che le donne continuino a lavorare in gravidanza, ma con una riduzione del carico di lavoro, anche per quel che riguarda gli orari (specie per i lavori notturni).

Congedi per la malattia del bambino

Il congedo dal lavoro per la malattia del figlio è una tutela che riguarda entrambi i genitori, non solamente le mamme. Esso può essere richiesto per tutta la durata della malattia, fino al compimento del terzo anno di età del bambino. Dal terzo anno e fino all’ottavo anno, i giorni di astensione sono cinque all’anno. Va inoltre ricordato che i congedi per malattia sono obbligatori, nei limiti previsti dalla legge, ma non sono retribuiti.

Allattamento

Il permesso per l’allattamento è previsto sia per le madri naturali che per quelle adottive o affidatarie. Nel primo caso il congedo è obbligatorio entro il primo anno di nascita del bambino, mentre nel secondo caso entro il primo anno di ingresso nella nuova famiglia. Questo tipo di permesso permette, durante il periodo di rientro al lavoro dopo la maternità, di ottenere due ore di astensione giornaliere dal proprio posto di lavoro. L’astensione è di due ore per tutte le donne che hanno un contratto di lavoro superiore alle sei ore giornaliere; per contratti di lavoro con meno ore, l’astensione è di un’ora al giorno.

Le ore sono a bambino, quindi nel caso di parto gemellare queste aumentano, così come il periodo dell’allattamento aumenta fino a tre anni per i bambini affetti da disabilità.

La gestione delle ore per l’allattamento è flessibile e deve essere concordata con il proprio datore di lavoro. Si può richiedere di entrare dopo o uscire prima, oppure distribuire le ore di permesso in maniera più consona alle proprie necessità.

Per quel che riguarda il periodo di allattamento, successivo al rientro sul posto di lavoro dopo la maternità, va detto che non è cumulabile con altre tutele e che non incide sul computo delle ferie. L’allattamento ha una retribuzione del 100%. Anche in questo caso la domanda va presentata attraverso i canali ufficiali dell’INPS e con un certo anticipo rispetto al loro effettivo utilizzo.

La gravidanza e i primi mesi di maternità sono certamente complessi e articolati; il lavoro non deve costituire un impedimento alla cura e alla crescita del proprio bambino. Le tutele ci sono ed è importante saperle cogliere per affrontare in maniera serena questa fase delicata, ma estremamente emozionante, della vita di ogni mamma.

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Donne che iniziano a lavorare presto, donne che lo fanno più tardi, in ogni caso donne che magari, a un certo punto della loro vita, si troveranno a cercare di intersecare al meglio la professione con la maternità. E giù, inevitabilmente, una serie di domande: come funziona il congedo maternità obbligatorio e chi può richiederlo? L’imprenditore o il datore di lavoro in generale può procedere al licenziamento? Quali sono le regole del congedo di paternità? Inevitabilmente fanno capolino delle domande collaterali, tra malattie del bimbo e permessi. Addentriamoci dunque nella giungla cercando di uscirne indenni.

Mamma lavoratrice: divieto di licenziamento

I diritti delle mamme lavoratrici, in linea di massima, in Italia sono abbastanza ampi. Cominciamo col dire che fino a quando il bambino non compie un anno, la mamma non può essere licenziata: c’è un divieto chiarissimo. Qualora il rapporto di lavoro venisse comunque estinto dall’imprenditore, la lavoratrice ha diritto di tornare al suo posto. La base è il certificato medico: bisogna attestare che all’epoca del licenziamento era già iniziata la gravidanza. Il divieto si estende anche ai casi di adozione e di affidamento. Comunque ci sono delle eccezioni. In prima battuta la colpa grave della lavoratrice. Se il licenziamento per giusta causa avviene durante i periodi di congedo di maternità, la donna non perde il diritto all’indennità di maternità.

Il congedo di maternità obbligatorio

Il binomio gravidanza e lavoro, così come quello “allattamento e lavoro”, è parente di primo grado del congedo di maternità obbligatorio. Formalmente chiamato “astensione obbligatoria”, è un periodo di 5 mesi durante i quali la donna non deve lavorare. Si tratta dei due mesi prima del parto e dei tre successivi alla data di nascita del bambino o della bambina. Dal 2000 è stata introdotta la possibilità per la lavoratrice dipendente di continuare l’attività lavorativa nel corso dell’ottavo mese e di prolungare il periodo di congedo dopo il parto, a patto che il medico attesti lo stato di buona salute. Il congedo di maternità è riconosciuto alla madre lavoratrice anche nei casi di adozioni e affidamenti.

Congedo maternità: a chi spetta? Quando e come richiederlo?

Il congedo maternità obbligatorio spetta alle donne dipendenti del settore privato, alle lavoratrici autonome, alle lavoratrici iscritte alla gestione separata dell’Inps e ad alcune mamme che abbiano cessato l’attività lavorativa. In alcune circostanze specifiche, l’indennità è dell’80% dell’ultimo stipendio, in altri anche del 100%. Per il congedo facoltativo, si prevede invece un’indennità del 30%. Per le lavoratrici dipendenti i requisiti sono la gravidanza accertata e il rapporto di lavoro subordinato. Sventagliando tra le categorie, colf e badanti devono avere almeno 52 contributi settimanali, versati o dovuti, anche in settori diversi dal lavoro domestico, nei 24 mesi precedenti l’inizio del congedo di maternità, oppure 26 contributi settimanali nei 12 mesi precedenti l’inizio del congedo stesso. Le lavoratrici agricole a tempo determinato devono avere in mano l’iscrizione per almeno 51 giornate negli elenchi nominativi dell’anno precedente la data di inizio del congedo obbligatorio di maternità oppure nello stesso anno in cui inizia il congedo, a condizione che le giornate di lavoro siano regolarmente effettuate prima dell’inizio del congedo stesso. Le donne che hanno cessato (o sospeso) l’attività possono godere del contributo Inps, se sussistono alcune condizioni. Tra la data di cessazione e sospensione non devono essere passati più di 60 giorni; per il computo non si deve tenere conto delle assenze dovute a malattia e infortunio sul lavoro, né del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio per una precedente maternità, né del periodo di assenza per accudire i figli minori in affidamento.

Un capitolo a parte è il “quando e come richiederlo”. La domanda va presentata all’Inps online, al numero indicato sul sito dell’Istituto o tramite i patronati. La domanda telematica va inviata prima dell’inizio del congedo di maternità e non oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile. La donna lavoratrice deve comunicare la data di nascita del figlio e le relative generalità entro 30 giorni dal parto. Le lavoratrici autonome, invece, devono trasmettere la domanda dopo il parto. Alla domanda telematica si può allegare ogni documentazione utile: il riferimento è a provvedimenti di interdizione anticipata o posticipata, provvedimenti di adozione o affidamento, autorizzazione all’ingresso in Italia del minore straniero in adozione o affidamento preadottivo e così via. Va presentato in forma cartacea, invece, il certificato medico di gravidanza, insieme a tutte le altre eventuali certificazioni mediche necessarie. I documenti originali vanno consegnati alla sede dell’Inps locale competente, oppure a mezzo raccomandata. Il diritto all’indennità si prescrive nel termine di un anno che decorre dal giorno successivo alla fine del congedo di maternità. Per le dipendenti, l’indennità viene anticipata dal datore di lavoro. Per tutto il resto c’è l’Inps.

Il congedo per allattamento o per malattia del bambino

Nel primo anno di vita del bambino, la dipendente ha diritto al permesso orario giornaliero per l’allattamento, che consiste in due pause giornaliere di 1 ora ciascuna, anche cumulabili in 2 ore in un’unica soluzione giornaliera. Se il piccolo si ammala, mamma o papà possono restare a casa con lui. In alternativa, i genitori possono astenersi dal lavoro per accudirlo. Lo si può fare senza limiti fino ai 3 anni del bambino e per 5 giorni lavorativi all’anno (per ciascun genitori, ma non fruibili contemporaneamente) per i bambini dai 3 agli 8 anni. Le malattie del bambino devono essere documentate con certificato di malattia. I periodi di congedo per malattia del figlio sono calcolati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie, alla tredicesima e alla gratifica natalizia. Questi congedi, però, non sono coperti dall’Inps, ma da contribuzione figurativa a carico dalla gestione previdenziale a cui è iscritto il lavoratore. Sarà intera per le assenze fino ai 3 anni di età del bimbo e ridotta, con possibilità di contribuzione volontaria, per i bimbi dai 3 agli 8 anni. Nel settore pubblico è previsto un trattamento migliore: fino ai 3 anni, i primi 30 giorni di congedo per la malattia del figlio sono interamente retribuiti. Piccola nota: quando la malattia del bambino porta a un ricovero in ospedale, si interrompe il decorso del periodo di ferie se il genitore ne fa esplicita richiesta. Il permesso per l’allattamento spetta anche al papà, ma solo in alcuni casi determinati: quando è l’unico affidatario, quando la madre lavoratrice dipendente non ne usufruisce, quando la madre è lavoratrice autonoma (il dipendente dovrà presentare un’autocertificazione), in caso di morte o infermità della madre.

Il congedo parentale: il padre

Il congedo parentale del padre è l’ultima sezione di questo lungo affaire. Ai padri lavoratori dipendenti spettano due giorni di congedo obbligatorio per parto, adozione o affidamenti. Per usufruirne, bisogna comunicare per iscritto al datore di lavoro i giorni di cui intende usufruire, con un anticipo non inferiore a 15 giorni, e dovrà prendersi a riferimento la data presunta del parto. Nei casi di pagamento diretto da parte dell’Inps, la domanda deve essere inoltrata esclusivamente per via telematica. Il congedo parentale è un diritto di entrambi i genitori lavoratori dipendenti. Consiste in un periodo di astensione facoltativa fruibile in modo continuativo o frazionato. La madre può beneficiare del congedo parentale a partire dalla fine del congedo obbligatorio di maternità e le spettano sei mesi continuativi o frazionati, dopo l’astensione obbligatoria, fino ai 12 anni del bambino. Al padre spettano sei mesi continuativi o frazionati elevabili a sette nel caso in cui abbia effettuato tre mesi di astensione dal lavoro, sempre fino ai 12 anni del figlio. In totale mamma e papà non possono superare il limite di 11 mesi. La relativa indennità economica è pari al 30% della retribuzione fino ai 6 anni del bambino e spetta per un periodo massimo di 6 mesi. Dai 6 anni e un giorno agli 8 anni di età del bambino, nel caso in cui i genitori non ne abbiano fruito nei primi 6 anni, o per la parte non fruita, il congedo verrà retribuito al 30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente risulti inferiore a due volte e mezzo l’importo annuo del trattamento minimo di pensione. Dagli 8 ai 12 anni di età del bimbo il congedo non è mai indennizzato.

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