L'articolo Acconciature da bambina: idee facili, belle e veloci proviene da MammeUp.
]]>Le ragazze amano prendersi cura del loro aspetto fin da quando sono bambine. Per questo è importantissimo che le mamme sappiano come legare i capelli delle loro piccole. È utile anche insegnare alle proprie figlie come raccogliere i capelli, in modo che crescendo imparino a farlo da sole. Raccogliere e legare i capelli non è solo un’esigenza pratica per avere la vista libera e non subire il fastidio dei capelli davanti agli occhi. Le pettinature permettono a ogni bambina di avere il proprio look e di sentirsi carine e belle.
Le acconciature da bambina sono utili sia per andare a scuola che in occasione di eventi importanti. In questi casi magari vostra figlia dovrà fare la damigella ed è quindi importantissimo prendersi cura della sua acconciatura. Molte delle pettinature devono essere veloci e semplici da realizzare, così che quando si è ritardo (soprattutto la mattina prima di andare a scuola), non si ha alcun tipo di problema.
La semplice treccia, un’acconciatura veloce e classica. Pettinate i capelli della vostra bambina e li dividete in tre ciocche e incrociate le ciocche a destra e a sinistra con quella centrale finché non avrete finito e potrete legarli con un elastico e un nastro.
Tra le acconciature fai da te questa ha un livello di difficoltà molto difficile. La prima cosa da saper fare è la treccia a spina di pesce che è diversa da quella classica. È una pettinatura ideale per i capelli corti, ma va bene anche per i capelli piè lunghi, sia ricci che mossi non ha importanza.
Questa è una pettinatura semplicissima prima di tutto dopo aver pettinato bene i capelli fate due trecce laterali un po’ sopra le orecchie, unitele ai capelli rimanti e alzatele come se fosse una coda semplice.
La treccia laterale non è facilissima da realizzare per questo è meglio aiutarsi con delle forcine o della lacca. partire dal uno dei due lati della testa e di volta in volta prendere una ciocca dei capelli e unirla alla treccia.
Molte bambine, sin da piccolissime, come sport praticano la danza, solitamente classica e questa richiede un’acconciatura in particolare che è lo chignon. Alle piccole e future ballerine è una pettinatura che piace tanto da poter utilizzare anche per la vita di tutti i giorni.
Dividete la chioma di vostra figlia in due parti, fate due code alte e poi prendete la coda e arrotolata attorno all’elastico, sia a destra che a sinistra. Il risultato saranno due palline molto simpatiche.
Se non siete amanti delle acconciature o comunque non avete il tempo, ma volete comunque vedere la vostra bambina con i capelli ordinati, uno dei tagli più comuni è il caschetto. Semplice e comodo è un taglio classico e molto frequente in tutte le bambine.
Una delle sue varianti e la frangetta: può essere con o senza a seconda dei tipi di capelli. Se vostra figlia ha i capelli ricci, o comunque mossi, la resa della frangia potrebbe essere non garantita. Se, invece, ha i capelli lisci sarà una delle acconciature più facili da gestire con le bimbe.
Tutte le acconciature sopra elencate si possono arricchire con nastri, forcine, mollette cerchietti, fiocchi. Come tutte le mamme delle figlie femmine, la maggior parte delle bambine sono molto vanitose specie dai quattro anni in poi. Molte bimbe, infatti, s’identificano con principesse, fate, eroine, personaggi fantastici dei cartoni animati che solitamente hanno bellissime e maestose acconciature. Questo per voi mamme è un bene perché potrete sbizzarrivi con i capelli di vostra figlia con le pettinature che più vi piacciono e che vi riescono meglio!
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]]>L'articolo Bocca Mani Piedi: cos’è e come va trattata proviene da MammeUp.
]]>Chiamata anche Mani piedi bocca, è una malattia di natura virale, indubbiamente fastidiosa per i piccoli che la contraggono, ma che tuttavia non ha particolari rischi. Si verifica principalmente nel periodo che intercorre tra estate e autunno, ma può ovviamente verificarsi durante tutto l’anno.
A causare questa malattia sono diversi virus della Enterovirus, nella maggior parte dei casi si tratta di un’infezione dovuta al Coxsackievirus che provoca sintomi leggeri che si risolvono da soli nel giro di circa una settimana. Non è molto contagiosa, ma è molto facile che si diffonda in luoghi chiusi e affollati, durante i quali si condivide parecchio tempo con altri (ad esempio asili, scuole, centri sportivi, etc.).
La Bocca mani piedi si trasmette essenzialmente in due modi:
Anche gli adulti possono contrarre la Bocca mani piedi, ma nella maggior parte dei casi non vi sono segni della sua presenza ed assume la forma virale molto leggera.
Soprattutto nella fase iniziale, cioè quando si presenta soltanto la febbre, può capitare di confondere questa malattia esantematica con una banale influenza o con l’inizio di altre sindromi della stessa categoria. La situazione diventa più chiara quando compare l’eruzione cutanea, con vesciche, bolle e arrossamenti, che si presentano soprattutto intorno e all’interno della bocca. In un paio di giorni, poi, lo sfogo compare anche sulle mani e sui piedi. In caso di dubbi, comunque, è fondamentale rivolgersi sempre al pediatra di famiglia.
I principali sintomi con cui si manifesta la Bocca mani piedi sono:
Dopo un paio di giorni compare l’esantema che si caratterizza per macchie rosse e piccole pustole localizzate soprattutto all’interno del cavo orale (sulla lingua, all’interno delle guance e sulle gengive), ai lati della bocca ma anche sui palmi delle mani e sui piedi. Le vesciche tendono a colorarsi di grigio. Lo sfogo non crea prurito ma, se dovessero prudere, è meglio non grattarsi, perché le dita potrebbero diffondere ulteriormente l’infezione. Il decorso della malattia dura circa una settimana e non presenta particolari rischi o controindicazioni.
La persona affetta da questa malattia è contagiosa soprattutto nei primi giorni. Non si può essere sicuri di questo, perché il virus tende a rimanere nell’organismo anche dopo che tutti i sintomi sono scomparsi. Per quanto riguarda invece il periodo di incubazione questo può variare e ha una durata che va dai 3 ai 7 giorni. Questa è una malattia che solitamente una volta comparsa non ritorna. Di fatto, pur sviluppando specifici anticorpi, la mani piedi bocca può tornare.
Viste le modalità, spesso non si prescrive nulla, a parte qualche antipiretico in caso di febbre che supera i 38.5°. È importante, comunque, prestare grande attenzione al fatto che i bimbi riescano a bere normalmente. Inoltre le piccole ulcere sulla bocca potrebbero dargli talmente tanto fastidio da non riuscire ad ingerire e deglutire nulla.
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]]>L'articolo Bonus famiglia: cosa cambia con il 2020 proviene da MammeUp.
]]>Ma quali sono questi bonus che una famiglia a basso reddito può richiedere? Ne sono stati previsti di diversi:
Ognuno di questi permette alle famiglie con basso reddito di ottenere importanti aiuti economici e far fronte alle diverse difficoltà e instabilità economiche di questo periodo storico.
Il primo dei bonus famiglia 2020 che prendiamo in considerazione è quello sulla natalità. Diverse statistiche denunciano un grave calo demografico, motivo per cui il bonus bebè 2020 è stato incentivato rispetto allo scorso anno. La novità è che l’ISEE non sarà più un requisito, ma servirà solamente a calcolare l’importo dell’assegno di natalità. Questo è stato portato a 1920€ massimo per le famiglie con un reddito basso. È importante sottolineare come il bonus bebè riguarda sia i nuovi nati che i figli adottati a partire dal 1 gennaio 2020.
Una novità del 2020 riguarda il latte. È rivolto alle mamme che (per motivi di salute dimostrabili) non possono allattare naturalmente e devono utilizzare il latte artificiale. Il bonus prevede un contributo di 400€ per i primi sei mesi di vita del neonato.
Un’altra novità è quella relativa al cosiddetto bonus mamma domani. Si tratta di un aiuto dell’importo di 800€ che viene versato alle mamme, come premio nascita, che superano il settimo mese di gravidanza. inoltre tale contributo è rivolto anche alle famiglie che prendono un bambino in affido.
Nel bonus famiglia 2020 rientra anche quello per l’iscrizione (e il mantenimento) dei propri figli all’asilo nido. Oltre all’accesso in graduatoria, molte famiglie non riescono a sostenere il pagamento dell’iscrizione al nido. Per questo motivo il bonus 2020 prevede, sia per l’iscrizione ai nidi pubblici che privati, l’erogazione di un contributo in base alla fascia ISEE di appartenenza. I nuclei familiari con un ISEE non superiore ai 25000€ percepiranno un bonus massimo di 3000€. Per i nuclei con un ISEE tra 25001€ e 40000€, invece, il bonus arriverà a 2500€.
Un’altra novità del 2020 è il cosiddetto bonus seggiolini che serve per incentivare l’acquisto dei seggiolini auto antiabbandono (divenuti obbligatori da novembre dello scorso anno). Il bonus prevede un contributo di 30€ per l’acquisto di un dispositivo di questo tipo.
Il nuovo anno è iniziato con diverse novità e bonus soprattutto per le famiglie numerose. Tra queste va segnalata l’introduzione della Carta famiglia 2020, che diventerà operativa a partire dal mese di febbraio. È rivolta alle famiglie che hanno almeno tre figli minori a carico. La Carta famiglia 2020 prevede una serie di sconti sull’acquisto di prodotti o servizi, erogati sia da aziende pubbliche che da quelle private che aderiscono a questa iniziativa. Per farne richiesta e scoprire quali sono gli sconti che è possibile ottenere è possibile consultare la pagina del Dipartimento per le politiche della famiglia dove sarà comunicato anche il portale online attraverso il quale inviare la domanda per l’ottenimento della card.
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]]>L'articolo Il notebook della mamma si è rotto: ecco come recuperare tutte foto del tuo bambino proviene da MammeUp.
]]>Come recuperare i dati da un notebook caduto che non si accende più?
Qualche nozione di informatica che nel tempo vengono assorbite dalla nostra testa ci ricordano che i dati vengono archiviati in un vero e proprio disco, chiamato “hard disk“, che funziona in modo simile a un CD-ROM. Nella speranza che il disco non si sia danneggiato o graffiato, la prima richiesta di aiuto è nello smontare il notebook per estrarre l’hard disk, che è estremamente delicato.
A questo punto, per verificare il funzionamento del disco, si potrebbe acquistare un cavo per collegare il disco (che a prima vista non presenta danni importanti) via USB ad un altro computer, per verificare se è possibile leggerne i dati.
Nei casi fortunati la brutta avventura potrebbe finire lì, purtroppo, però, nella maggior parte dei casi i file non sono più leggibili. Ciò significa che il danneggiamento risiede proprio nell’hard disk. In questi casi ci si deve assolutamente fermare e rivolgersi ad “esperti nel recupero dei dati”.
Sono molti i centri assistenza ed i negozi che offrono questo servizio; la realtà è che solo in pochi sono equipaggiati degli strumenti idonei e dell’esperienza necessaria per affrontare qualsiasi tipo di caso di perdita dati. Nei laboratori professionali di recupero dati ogni giorno si trattano casi di notebook caduti a terra, smartphone caduti in acqua, hard disk erroneamente cancellati. Il recupero dei dati nella maggior parte dei casi è possibile. Possibile è recuperare le foto perse del tuo bambino. L’unico MUST è quello di non cimentarsi in esperimenti fai da te o affidare le sorti delle nostre foto ad “un’amico che ci capisce di informatica”. Alcuni hard disk entrano in laboratorio e non sono più recuperabili a causa di interventi effettuati da mani poco esperte.
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]]>L'articolo Safer Internet Day: i consigli per i ragazzi proviene da MammeUp.
]]>Quest’anno, l’evento dedicato principalmente ai ragazzi che si muovono tra le nuove tecnologie, è stato celebrato il 7 febbraio, a Milano: “Together for a better Internet” è la significativa frase che, per il 2019, è stata scelta come slogan dagli organizzatori.
Il Safer Internet Day, sintetizzato con l’acronimo SID, ad oggi coinvolge oltre 100 paesi ed impegna le istituzioni, chi lavora nel mondo online, la società civile che operano in sinergia per garantire la sicurezza del web, per permettere ai ragazzi di sfruttare la parte “buona” della tecnologia e per proteggere gli stessi dai rischi che viaggiano sotto la sigla del World Wide Web.
L’evento impone una riflessione importante, si rivolge soprattutto ai più giovani e si pone come obiettivo quello di responsabilizzare gli stessi nell’uso della tecnologia e del web, al fine di evitare i rischi – spesso latenti ed impliciti – propri di internet.
Ma quali sono i suggerimenti ed i consigli da seguire per destreggiarsi sul web, senza esporsi a pericoli?
Scopriamo insieme cosa fare per navigare in sicurezza, scongiurando i rischi e sfruttando il potenziale migliore della tecnologia.
L’informazione è fondamentale, sia per i genitori sia per i figli.
Adolescenti e bambini hanno un contatto costante con i dispositivi tecnologici e sarebbe bene, quindi, documentarsi insieme e leggere tutto quello che c’è da sapere in termini di sicurezza, stimolando il confronto con i più giovani con i quelli sarà necessario mantenere sempre vivo il dialogo.
Sarà fondamentale far capire loro che possono contare sugli adulti, sulla loro comprensione e che di loro si possono fidare.
La regola vale per tutti: le password devono essere il più possibile complesse e, preferibilmente, differenti tra loro da un sito ad un altro.
Evitate sempre di inserire codici relativi ai propri dati personali: quindi, siano bandite le date di nascita o i soprannomi e preferire difficili soluzioni alfanumeriche.
Se la memoria non vi assiste, in realtà ci sono appositi programmi in grado di memorizzare solo sui propri dispositivi le parole segrete e di inserirle in automatico al momento dell’accesso al sito.
Le foto pubblicate soprattutto sui social espongono i giovani a rischi e pericoli concreti. Pertanto, primi tra tutti i genitori, si dovrà evitare categoricamente di condividere scorci di momenti trascorsi in famiglia, tra amici o ricordi in cui compaiono i ragazzi.
Il dialogo aiuterà a spiegare ai più piccoli che il tempo trascorso con i propri affetti è intimo e personale e non merita di essere esposto e attenzionato da chiunque, perché perderebbe parte del suo valore.
Le foto, tra l’altro, possono essere salvate, modificate ed inoltrate e queste operazioni, purtroppo frequenti, ledono il diritto alla privacy.
La limitazione dei contenuti tutela i minori ed evita che possano ritrovarsi inconsapevolmente a contatto con contenuti pericolosi o vietati.
Quindi, l’uso di appositi filtri permetterà agli adulti di stabilire cosa può essere visto e cosa no. Configurate i vari dispositivi in uso e, soprattutto, abbiate controllo di quelli utilizzati dai bambini.
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]]>L'articolo Lavastoviglie: consumo energetico e caratteristiche per valutare un nuovo acquisto proviene da MammeUp.
]]>Nel caso delle lavastoviglie questo trend è abbastanza evidente, prendi ad esempio la pagina web del sito ecommerce Yeppon: https://www.yeppon.it/grandi-elettrodomestici/lavastoviglie/. Dalle caratteristiche dei prodotti in vendita ci si può rendere immediatamente conto che i prezzi sono più che convenienti in relazione alla qualità degli elettrodomestici proposti, anche in relazione alla classe energetica.
In ogni caso la lavastoviglie la si valuta per diversi fattori. Uno dei più importanti è sicuramente il consumo energetico. Ciò che importa di più nella valutazione di quella che far per noi, è la quantità di volte che la utilizziamo in un anno. Ci sono famiglie e famiglie, quelle più numerose la fanno funzionare di continuo e selezionarne una in classe A+++ ha molto senso se si bada al risparmio.
A proposito di classi energetiche, lo sapevi che sono ben 7? quella che ti ho citato poco fa è solo l’ultima. Da una classe B ad una A+++ ci passa la bellezza di 150 KWh di consumo aggiuntivo in più in un anno. Si può fare una stima su 180 lavaggi l’anno di un aggravio di 30 euro sul costo della bolletta. Visto che una famiglia italiana di lavaggi ne fa molti di più e l’energia tende ad essere sempre più salata, risulta chiaro che se si deve acquistare ora una lavastoviglie è meglio sceglierla nella classe più evoluta. Probabilmente nel tempo si ripaga da sola.
Al di la del loro prezzo e del risparmio energetico, ci sono altre caratteristiche che vale la pena valutare anche se una lavastoviglie risulta molto conveniente per via del fatto che è in offerta.
Il tipo di lavaggio è importante. Quello Bio che un tempo veniva chiamato economico, ha la capacità di lavare le stoviglie e 50° utilizzando anche un minor quantitativo di acqua. Alla lunga questa funzione può ripagare la spesa poiché è il riscaldamento dell’acqua ad incidere di più sul consumo energetico.
Molto apprezzabile è anche la funzione del lavaggio automatico secondo il quale la stessa lavastoviglie valuta il livello di sporco e stabilisce come deve lavare le stoviglie. Dispone di un sensore di torbidità dell’acqua e agisce di conseguenza. Anche il lavaggio ridotto a mezzo cestello segue la stessa logica.
Un’altra funzione è la partenza differita, di cui sono dotati molti elettrodomestici. Se si dispone di una tariffa energetica agevolata per la notte, anche questo agevola il consumo annuale di energia elettrica.
Il rumore viene indicato nella scheda tecnica e di solito va da 40 a 50 decibel. Non è un problema a meno che non sia stata installata in una zona sensibile per il riposo notturno dove anche pochi decibel si fanno sentire.
In generale la qualità di una buona lavastoviglie si basa sulle esperienze altrui, alcune hanno dei marchi che racchiudono elementi qualitativi come la resistenza ma è meglio farsi un giro nelle recensioni per indagare su alcuni elementi importanti. Uno di questi sono le guarnizioni. Il ciclo di umidità e di calore intenso possono intaccarle. Le lavastoviglie che utilizzano componenti non di qualità presentano lo scollamento della guarnizione già nei primi mesi.
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]]>L'articolo Festa del papà: un pò di storia proviene da MammeUp.
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La festa del papà si osserva il 19 Marzo solo nei paesi di religione cattolica, nelle restanti parti del mondo la celebrazione avviene in giorni diversi. Questo perché il 19 Marzo è il giorno della morte di “San Giuseppe” (venerato anche lui in questo giorno), il “padre adottivo” di Gesù.
La vita di San Giuseppe viene esposta soprattutto nei Vangeli di Luca e Matteo, dove si dà largo spazio al racconto dell’infanzia di Gesù. In età medievale, il culto di San Giuseppe era molto vivo tra la popolazione orientale; intorno al 1300 la pratica si diffuse anche in occidente, consacrando il 19 Marzo come data per la celebrazione che secondo la tradizione coincide con la data della sua morte.
La festa venne inserita nel calendario romano nel 1479 da Papa Sisto IV e successivamente San Giuseppe diventò patrono di molti stati fortemente cattolici, come il Belgio, il Canada o il Messico.
Successivamente, nel 1955 fu istituita un’altra festa a lui dedicata (San Giuseppe Artigiano), il 1° Maggio, in risposta alla festa dei lavoratori che aveva origini socialiste.
Nei paesi non cattolici, la festa del papà ricorre in giorni differenti ed ha anche origini e tradizioni diverse.
Ad esempio negli Stati Uniti ha origini più recenti ed caratteristiche legate alla festa della mamma: viene celebrata la terza domenica di Giugno e venne promulgata come festa nazionale nel 1966; mentre in Germania, coincide con il giorno dell’Ascensione ed è chiamata anche Männertag o Herrentag (giorno degli uomini/maschi).
Sebbene la festa del papà, varia a seconda del paese in cui si vive, in Italia si festeggia il 19 Marzo, come da tradizione, e in molte zone la celebrazione avviene con eventi e appuntamenti speciali, di seguito una selezione:
Naturalmente ne abbiamo riportati alcuni ma siamo certi che in tutta Italia, i festeggiamenti non mancheranno!
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]]>L'articolo Coppia: i 30 segnali per riconoscere una relazione tossica proviene da MammeUp.
]]>Chi sta accanto a queste persone, si illude di poterle cambiare, ma non è affatto così: l’unica cosa da fare è allontanarsi al più presto e proteggersi. Per liberarsi da una relazione tossica, si può fare affidamento sul best seller “Questo amore fa male. Come salvarsi dalle relazioni distruttive e tornare a vivere” di Jackson MacKenzie: ecco i 30 segnali tratti dal libro, che permettono di capire se quella che avete accanto è una persona tossica.
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]]>L'articolo Giubbotti pieni di sabbia ai bimbi iperattivi: il provvedimento fa discutere proviene da MammeUp.
]]>Gehild de Wall, a capo dell’unità per l’inclusione della scuola Grumbrechtstrasse di Amburgo, ha spiegato al quotidiano britannico Guardian che “I bambini amano indossarle e nessuno è costretto a farlo contro il suo volere”. I giubbotti pieni di sabbia vengono indossati solo se i bimbi sono accondiscendenti e per un tempo massimo di 30 minuti. Il peso viene scelto in base alla corporatura del piccolo e, a quanto pare, non rappresenterebbe un problema, perché si concentra sulla parte superiore del corpo. Addirittura, spesso, guardando i loro compagni, anche i bambini che non hanno problemi di concentrazione vogliono quel particolare giubbotto. Una richiesta che viene accontentata, per assicurarsi che non venga collegata ad alcun stigma. Una maestra che ha utilizzato il giubbotto nella sua classe lo ha definito un surrogato dell’abbraccio di cui spesso i bambini hanno bisogno per calmarsi, un gesto che le maestre non sono autorizzate a fare. Tra i principali produttori di giubbotti pieni di sabbia c’è la Beluha Healthcare, azienda che ha spiegato di aver accontentato centinaia di consumatori soddisfatti negli ultimi 18 anni con la “sand therapie”.
Non tutti i pareri in merito all’utilizzo di questi giubbotti, tuttavia, sono positivi. Ciò che rende scettici alcuni esperti, ad esempio, è l’uso a lungo termine. Ancora non si conoscono gli effetti di una pratica prolungata sulla salute psichica e pare non ci siano studi specifici sull’argomento, che sarebbero comunque di fondamentale importanza. La stessa Beluga Healthcare, inoltre, ha spiegato al Guardian che la “sand therapie” non sarebbe certo un toccasana per i bambini cui è stato diagnosticato l’Adhd.
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività o ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) è un disturbo dello sviluppo neurologico caratterizzato da alterazioni della crescita e dello sviluppo del cervello o del sistema nervoso. Si sviluppa in età infantile, sotto i dodici anni, permane nella maggioranza degli adolescenti e in gran parte degli adulti.
I sintomi principali sono la disattenzione e/o l’iperattività/impulsività, ma per ricevere una diagnosi di ADHD non è necessario avere per forza entrambe le caratteristiche. Si possono, infatti, presentare combinatamente sia disattenzione che iperattività/impulsività ma anche solamente una delle due. I bimbi con sintomi principalmente inattentivi continueranno ad avere soprattutto gli stessi anche avanzando con l’età.
In quelli che invece presentano i sintomi di iperattivi/impulsività (con o senza disattenzione), verso i dieci anni circa, l’agitazione motoria generalmente diminuisce e permane irrequietezza interna. Con minor frequenza alcuni adolescenti presentano lieve iperattività. Altri sintomi possono essere: fatica a rimanere fermi, seduti o concentrati per molto tempo, impazienza, facile tendenza alla noia, procrastinazione, dimenticanze, disorganizzazione. Si presenta spesso insieme ad altri disturbi, la cui causa in molti casi è proprio l’ADHD.
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]]>L'articolo Neo mamme e lavoro: tantissime sono costrette a licenziarsi proviene da MammeUp.
]]>Questo problema presente in Italia si manifesta indipendentemente dal settore merceologico e molto spesso per le donne che sono sia mamme che mogli che lavoratrici conciliare la carriera con la gestione della famiglia, sopratutto nei primi anni di crescita dei figli, è un’impresa più che ardua e spesso improbabile. Il numero degli asili nido si è ridotto notevolmente rispetto al reale fabbisogno, i costi sono alti e non sempre è possibile affidare la cura dei figli ai nonni, i quali spesso sono ancora impegnati nel mondo del lavoro dato l’innalzamento dell’età pensionabile oppure non ci sono.
Si sono registrati oltre 37 mila licenziamenti di genitori che hanno dei figli piccoli ( sotto i 3 anni) tra cui 30 mila solo donne. I licenziamenti effettivi sono 25.000 la restante parte ha cambiato luogo di lavoro e azienda mentre le restanti hanno deciso di abbandonare il lavoro e dedicarsi alla cura dei figli. Una scelta dettata dalla mancanza di nidi e dai costi troppo alti per l’iscrizione.
La Lombardia è al tempo stesso la regione che crea più lavoro, ed ha anche il maggior numero di asili nido, ma è quella che conta il maggior numero di licenziamenti.9 mila sono i genitori che decidono di lasciare il posto, di cui 5 mila per motivi familiari. Seimila e 767 donne si sono licenziate per mancato accoglimento al nido, assenza di parenti disponibili a curare il neonato e elevata incidenza dei costi di assistenza.Tante, ancora troppe se si considera che la Lombardia garantisce una delle reti di nidi e supporto tra le più sviluppate in Italia
Il Veneto è la seconda regione per numero di dimissioni, 5.008 (3.658 mamme e 1.350 papà). In questo caso, a differenza delle altre zone d’Italia, sono 770 i genitori che sottolineano come nella scelta abbia inciso la mancata concessione del part time e la modifica dei turni. Terze, in questa classifica infelice, sono il Lazio (3.616) e l’Emilia Romagna (3.609), quasi a pari merito nonostante le enormi differenze sociali e lavorative dei due territori. In questi casi hanno scelto di perdere il lavoro perché non riuscivano a conciliarlo con la famiglia rispettivamente 1.519 e 1.243 donne. Al Sud la situazione non è tra le migliori visto l’alto tasso percentuale di disoccupazione femminile, ragion per cui non è possibile paragonare le statistiche a livello assoluto. In Calabria nonostante il numero di abitanti, le dimissioni sono state appena 517. Si fa presto a considerare che in questo caso incide tanto la disoccupazione femminile
Un altro dato che emerge dai numeri forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro molto preoccupante riguarda lo stipendio delle donne che guadagnano meno. Sono proprio queste con impieghi meno remunerativi costrette a lasciare il lavoro: tra operaie e impiegate, infatti, si arriva a 28.102 convalide, mentre quelle di dirigenti e quadri sono state solo 680.
L’analisi delle qualifiche delle donne che lasciano il lavoro ha fatto emergere che come meno guadagni più sei sola e “costretta” a dimetterti. Ecco che tra operaie e impiegate si arriva a 28.102 convalide, mentre quelle di dirigenti e quadri sono state 680. Con uno stipendio che a stento raggiunge i mille euro i conti sono presto fatti: ne spendi almeno 500 tra tata e nido e dai 500 che avanzano bisogna ancora sottrarre costi base come pannolini e prodotti per l’igiene. Sono in molte a pensare che non valga la pena stare almeno 7 ore lontano da casa per guadagnare così poco e non dedicarsi al figlio.
Con l’arrivo del nuovo anno, però, arrivano anche una serie di agevolazioni pensate dal Fisco per le famiglie. Si va dallo sconto fiscale per metro, treni e scuolabus alla detrazione per gli studenti con disturbi di apprendimento, fino al bonus per gli strumenti musicali e al bonus bebè, ma tutto questo non sembra bastare.
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]]>L'articolo Assicurazione per le casalinghe 2018: requisiti e info utili proviene da MammeUp.
]]>Soprattutto chi si ritrova ad avere cura dell’abitazione e della famiglia, o anche chi lavora da casa, trascorre molto tempo in questo ambiente ed è proprio in questi casi che diventa necessario fare ricorso a una forma di tutela. Come spiegato dall’Inail, la legge 493/1999 ha stabilito che ci sono determinate categorie obbligate ad assicurarsi contro gli infortuni domestici e cioè:
Per ambito domestico si intende l’abitazione, ma anche le relative pertinenze (cioè soffitte, cantine, giardini, balconi) dove risiede il nucleo familiare dell’assicurato. Se l’immobile è parte di un condominio, rientrano nell’ambito domestico anche le parti comuni (androne, scale, terrazzi, etc). Rientrano anche tra i luoghi tutelati le residenze temporanee scelte per le vacanze, a condizione che si trovino nel territorio italiano. Non è tutelato, invece, l’infortunio in itinere. Matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela, vincoli affettivi e coabitazione sono i criteri che definiscono, ai sensi della legge 493/1999, il nucleo familiare rispetto ad altre esperienze di vita insieme.
Come abbiamo anticipato, esistono diverse categorie di soggetti obbligati a sottoscrivere l’assicurazione infortuni domestici. Per quanto sia comunemente nota come assicurazione per le casalinghe, dunque, in realtà l’accezione è ben più ampia. Ecco nello specifico chi deve sottoscriverla:
In base ai requisiti assicurativi indicati, si devono assicurare:
Nell’ambito di uno stesso nucleo familiare possono assicurarsi più persone (ad esempio: madre e figlia).
È invece escluso dall’obbligo assicurativo:
È esonerato dal pagamento del premio assicurativo contro gli infortuni in ambito domestico colui che ha un reddito al di sotto di una determinata soglia. In tal caso il premio è a carico dello Stato. In particolare, poi, è escluso dal pagamento chi contemporaneamente:
Per saperne di più sull’assicurazione per le casalinghe 2018, potete consultare il sito dell’Inail, cliccando qui.
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]]>L'articolo Origami: tutorial per imparare a farli proviene da MammeUp.
]]>La tecnica moderna dell’origami usa pochi tipi di piegature combinate in un’infinita varietà di modi per creare modelli anche estremamente complessi. In genere, questi modelli cominciano da un foglio quadrato, le cui facce possono essere di colore differente e continua senza fare tagli alla carta.
Ecco le istruzioni per realizzare dei facili origami come quello del cigno, del fiore e del cuore.
L’origami del cigno ha una struttura molto tradizionale ed è davvero semplice da realizzare. Il fatto che richiede solo svariate pieghe su e giù lo rende l’ideale per i principianti. I primi risultati potrebbero essere imperfetti, ma presto riuscirete a ottenere un cigno bellissimo ed elegante, magari con qualche ora di pratica.
Basta un pezzo di carta e alcune pieghe ben fatte per realizzare un delizioso origami a forma di fiore.
Ecco le istruzioni:
Anche l’origami a forma di cuore è facile da realizzare e molto carino. Ecco le istruzioni:
Piegate di nuovo gli angoli. Infilate gli angoli di queste due linguette nello spazio all’interno della linguetta più grande.
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]]>L'articolo Cos’è la Candida? Tutto quello che c’è da sapere proviene da MammeUp.
]]>La candidosi comprende le infezioni che vanno dal livello superficiale, come ad esempio il mughetto orale e le vaginiti. Le infezioni superficiali della pelle e delle membrane mucose causate dalla candida sono responsabili di infiammazioni locali e di sensazioni di disagio in molte popolazioni umane La malattia è sempre chiaramente imputabile alla presenza degli agenti patogeni opportunisti del genere Candida, ma la candidiasi descrive un numero di sindromi patologiche diverse che spesso differiscono nelle loro cause e nella prognosi.
Le infezioni vaginali da candida sono molto comuni tra le adolescenti e le donne adulte: il 75% circa delle donne prima o poi nella vita sarà colpita dalla candidosi. La Candida è fisiologicamente presente nella microflora vaginale. In certe condizioni può però attivarsi e proliferare, causando disturbi come prurito e bruciore. Alla maggior parte delle donne è capitato nell’arco della propria vita di avere un episodio di “candida”, un’infezione vaginale che causa disturbi molto fastidiosi dovuta a un micro organismo appartenente al regno dei funghi, in particolare alla famiglia dei saccaromiceti. Se l’equilibrio della flora batterica vaginale si altera, cosa che può avvenire per varie ragioni, una delle specie minoritarie può iniziare a riprodursi velocemente e in modo eccessivo, con conseguenze anche a carico della mucosa vaginale. L’attivazione e proliferazione della candida fa sì che i microorganismi invadano il rivestimento epiteliale della vagina, rilasciando tossine che provocano l’infiammazione acuta e il dolore. Un’altra causa sono le variazioni ormonali come nella fase della pubertà, per l’aumento della produzione di estrogeni. Questi a loro volta aumentano i livelli di zuccheri della mucosa vaginale, creando un ambiente favorevole alla riproduzione del microrganismo, e ne favoriscono l’adesione alle cellule epiteliali della vagina.
Anche l’uso della pillola anticoncezionale e dalla gravidanza può aumentare il rischio a causa degli elevati livelli di estrogeni che la caratterizzano.
Un altro fattore di rischio è costituito dalle terapie farmacologiche a base di antibiotici, che causano una disbiosi intestinale e della mucosa vaginale, cioè lo squilibrio della flora batterica.
Tra le cause scatenanti c’è pure l’alimentazione: una dieta troppo ricca di zuccheri, prodotti lievitati o fermentati (come pane, pizza, birra, formaggi stagionati) ed edulcoranti artificiali può favorire l’attivazione del fungo.
Le alterazioni del pH possono essere causate anche dai rapporti sessuali, m anche se s’indossano indumenti intimi in tessuti sintetici o troppo aderenti che impediscono la traspirazione.
La candidosi può essere causata anche dall’auto-contaminazione della mucosa vaginale da parte di residui fecali. Per evitare il contatto degli organi genitali con le feci e l’urina, naturalmente portatori di funghi e batteri.
Un altro fattore che favorisce la moltiplicazione incontrollata della candida è la presenza di malattie infiammatorie dell’intestino (sindrome del colon irritabile, colite ulcerosa o diverticolite), tutte accomunate dall’infiammazione della parete del colon. In questo caso l’infezione può essere scatenata dal passaggio della candida all’interno del corpo attraverso le cellule della mucosa intestinale, che perdono la loro funzione di barriera.
Le infezioni vaginali da candida sono tutte accomunate da sintomi tipici e sono: arrossamento, prurito intenso, gonfiore e bruciore a livello delle mucose genitali e durante la minzione. La mucosa diviene dolente e dolorosi sono anche i rapporti sessuali. Uno dei sintomi caratteristici è rappresentato da perdite dense e biancastre di aspetto simile al latte cagliato o alla ricotta.
Non tutte le forme infettive sono però sintomatiche e in alcuni casi l’infezione può essere presente senza dare particolari segni. Inoltre può capitare che i sintomi si manifestino dopo molto tempo dall’insorgenza dell’infezione.
La candida può colpire anche gli uomini. In questo caso l’infezione è più frequentemente asintomatica. I sintomi maschili comprendono infiammazione e bruciore a livello solo del glande (balanite) o anche del prepuzio (balanopostite), con la possibile comparsa di chiazze rosse e, più raramente, di perdite dense e biancastre dal cattivo odore.
Le vaginiti si manifestano spesso in gravidanza: sintomi come prurito, perdite intime e fastidio possono indicare la presenza di un’infezione in atto.
Durante la gravidanza la candida vulvovaginale può essere piuttosto frequente – si stima che interessi un terzo delle gestanti – a causa soprattutto dei cambiamenti che si verificano a livello dell’epitelio della vagina e dell’alterazione del pH che si verificano normalmente durante il periodo di gestazione.
La candida è molto fastidiosa, ma questa non crea danni durante la gestazione, non provoca malformazioni o complicanze alla donna o al bambino, ma va curata prima del parto.
La terapia per curare la candida vaginale si basa su farmaci antimicotici, mentre sono assolutamente da evitare gli antibiotici. Il trattamento può essere somministrato a livello locale, con creme e ovuli, oppure per via sistemica. In entrambi i casi la cura dovrebbe essere protratta secondo le modalità indicate dal medico.
La candida la si può curare anche rimedi naturali. L’assunzione di fermenti lattici può aiutarvi a riequilibrare la flora batterica vaginale. Gli olii essenziali come il tea tree oil possono essere molto lenitivi con applicazioni locali tramite lavande. Sono benefiche anche lavande a base di bicarbonato o fermenti lattici. Finocchio, cumino, anice o Pau d’Arco, sono rimedi omeopatici che possono tornare utile nella protezione del tratto ureo-genitale.
La dieta contro la candida mira ad impedire l’eccessivo proliferare di questo microrganismo, sottraendogli il nutrimento e potenziando le difese immunitarie dell’organismo.
Ci sono una serie di regole alimentari, utili per riequilibrare la microflora locale e ridurre il numero di questi funghi.
Gli alimenti da evitare sono: zuccheri, alcolici e cibi ricchi di lieviti e micotossine.
Come il saccarosio, la frutta (sia quella zuccherina che quella essiccata), buona parte dei cereali, le bevande zuccherate ed alcoliche (in particolare la birra), i cibi affumicati o ricchi di conservanti, le arachidi, l’aceto, il pane (ammesso quello non lievitato) ed i formaggi a pasta dura.
Gli alimenti utili invece sono: yogurt non zuccherato (in quanto alimento ricco di batteri utili per la salute dell’intestino), di specifiche formulazioni probiotiche e prebiotiche, dell’aglio, della curcuma e di vari cibi fermentati come il miso o il kefir.
Consentiti il pesce, le uova, la carne magra, l’olio di oliva ed altri oli di semi, il riso integrale, le alghe e le verdure (ben lavate).
E’ molto importante fare attenzione al tipo di biancheria intima che si indossa quotidianamente.E’ buona norma, infatti, preferire l’intimo di fibre naturali come seta o di cotone: A differenza dei tessuti sintetici assicurano una perfetta traspirazione senza ristagni di umidità che favorirebbero lo sviluppo dei lieviti.Cambiate spesso la biancheria anche durante il giorno ed evitate tessuti stretti o attillati.
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]]>Come si manifesta la meningite? Nelle fasi iniziali ci sono sintomi non troppo specifici: il riferimento, in particolare, è alla febbre, che viene spesso associata all’influenza. I corollari sono i soliti mal di testa, nausea, vomito. In alcuni casi, però, scatta il sintomo che fotografa bene la situazione: la rigidità della nuca. Solo in determinate occasioni subentrano anche macchie sulla cute e convulsioni. La meningite, nella maggior parte dei casi, è di originale virale. Il contagio può avvenire tramite colpi di tosse e starnuti, attraverso il contatto con mani infette non lavate oppure bevendo acqua inquinata. La forma virale non provoca quasi mai conseguenze serie e guarisce con un po’ di riposo. C’è, però, anche quella batterica. I batteri più comuni sono Neisseria meningitidis (meningococco), Streptococcus pneumoniae (pneumococco) e Haemophilus influentiae di tipo b (emofilo o Hib). Tutti vengono trasmessi per via aerea, cioè con gli starnuti e con i colpi di tosse soprattutto. È questa la forma più pericolosa, in quanto trascina con sé complicazioni: danni neurologici anche permanenti, ad esempio la perdita dell’udito, danni ai reni o alle ghiandole surrenali.
Come si trasmette la meningite? Come detto, batteri e virus sono i motori principali. Andando a fondo e toccando l’argomento “come viene la meningite”, il contagio assume la sua forma caratteristica negli starnuti, nel contatto con delle gocce di saliva, bevendo dell’acqua inquinata e così via. Ecco perché i casi di cronaca spesso finiscono con l’avvertimento della profilassi per le persone che sono state a contatto con i malati all’interno di discoteche, locali, circoli sportivi e quant’altro.
Al di là dei sintomi e delle modalità di trasmissione, il vaccino è la forma di protezione suprema. Allo stato attuale, in Italia ci sono tre vaccinazioni contro la meningite. Quello contro l’Haemophilus influenzae di tipo b è stato introdotto nel 1995. In quasi tutte le regioni viene somministrato di routine ai bambini che iniziano il ciclo vaccinale entro il primo anno di vita. In genere questo vaccino è combinato con quello per difterite, tetano, pertosse, epatite B e poliomielite. Per questo si parla di vaccino esavalente. Contro lo Pneumococco, uno è usato da anni e protegge contro 23 tipi (vaccino “23-valente”). Non è efficace nei bambini sotto i 2 anni. L’altro vaccino è in grado di proteggere contro i 13 tipi ceppi responsabili della maggior parte delle infezioni più gravi nei bambini ed è efficace anche nei lattanti. Entrambi i vaccini proteggono anche contro altre infezioni pneumococciche, per esempio la polmonite e le infezioni dell’orecchio. Esistono ben 12 gruppi di meningococchi, di cui 5 (A, B, C, Y, W135) sono responsabili della malattia meningococcica invasiva. Oggi esistono tre vaccini contro il meningococco. Il vaccino coniugato tetravalente (Mcv4) protegge contro i ceppi A, C, Y e W135. Può essere somministrato dai 12 mesi. Esiste poi un vaccino contro il meningococco di tipo C, che insieme al B è il sierogruppo più frequente in Europa. Si può somministrare a partire dal terzo mese di vita. Infine c’è il vaccino contro il meningococco tipo B, responsabile di almeno la metà dei casi di meningite in Italia. Può essere utilizzato in lattanti di età pari o superiore a due mesi.
La somministrazione del vaccino è controindicata nei soggetti affetti da uno stato febbrile acuto. Inoltre, lo è anche qualora si sia precedentemente verificata un’ipersensibilità grave ai principi attivi dello stesso o a uno qualsiasi degli eccipienti. Come ogni vaccino, anche quello contro il meningococco non garantisce una protezione al 100%, ma sembra che questa misura di prevenzione sia comunque in grado di attenuare l’infezione e ridurne l’intensità. L’immunità conferita dal vaccino può diminuire con il tempo, quindi dovrebbero essere previsti dei richiami con frequenza indicativa di 10 anni.
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]]>La depressione post-partum si riscontra in circa il 10 percento delle donne che hanno appena partorito, con un incremento del 30 percento se sono state colpite dalla stessa depressione in occasione di un parto precedente. La percentuale sale sensibilmente in relazione a donne che hanno già avuto disturbi mentali di varia natura.
I sintomi della depressione post-partum, che possono durare anche per un intero anno, sono numerosi. Vediamo insieme quali sono.
Depressione post-partum sintomi:
Ben più grave è la psicosi post-partum, forma più pesante di depressione, che richiede misure mediche tempestive. I sintomi, in questo caso, comprendono anche stati di agitazione, confusione, pessimismo, disagio sociale, insonnia, paranoia, allucinazioni, tendenze suicide o omicide nei confronti del bambino. La casistica delle psicosi post-partum è di una neomamma ogni mille e in alcuni casi si rende necessario il ricovero in ospedale e una serie di cure adeguate alle forme di psicosi riscontrate.
Se i sintomi sono di un’entità allarmante o comunque superano le due settimane, se si ha la sensazione di poter fare del male a se stesse o al bimbo, se ansietà paura e panico si manifestano con grande frequenza nell’arco della giornata, è meglio chiede aiuto a uno specialista. La depressione post-partum può essere affrontata in ambito medico e in modi diversi a seconda del tipo e della gravità dei sintomi. Le cure possono includere l’assunzione di ansiolitici e antidepressivi, sempre sotto controllo medico e sospendendo l’eventuale allattamento, oltre che psicoterapia o terapie di gruppo.
Parlare di depressione post-partum cause non è semplice, poiché la scienza medica non ha ancora fornito delle spiegazioni definitive. Alcuni studi hanno legato l’apparizione del disturbo a cambiamenti ormonali, in particolare al calo del livello degli estrogeni e del progesterone, con un’alta statistica di casi tra donne che accusano forti fastidi nella fase premestruale.
Ci sono molti fattori in grado di influire sulla comparsa della depressione post-partum, soprattutto di origine psicologica e legati ad alcuni eventi immediatamente successivi al parto, come il cambiamento ruolo della donna in ambito sociale, il timore per le sue imminenti responsabilità, il proprio aspetto fisico. La sintomatologia si può manifestare in forma lieve e scomparire nel giro di pochi giorni, ma se dovesse perdurare richiede l’intervento di uno specialista, a maggior ragione se nella sua patologia più grave, denominata “psicosi post-partum”.
Pur essendoci delle cause legate alla fisiologia della donna, è possibile cercare di prevenire o attenuare le manifestazioni di questo disturbo, agendo a livello psicologico. Può essere utile, ad esempio, limitare le visite nei giorni del rientro a casa, seguire una dieta adeguata che limiti l’assunzione di eccitanti come alcool e caffè, mantenere contatti frequenti con amcii e familiari, chiedere aiuto se se ne sente il bisogno, rendere ancora più forte il rapporto con il partner e cercare, per quanto possibile, di mantenere un atteggiamento realistico nei confronti della propria persona, del bimbo e del nuovo stato di cose, che implicherà naturalmente alti e bassi. Si tratta di un significativo cambiamento nella vita, che va preso tuttavia con serenità.
Dal canto loro, amici e famigliari possono offrire aiuto nei lavori domestici e nella cura del bimbo, possono dimostrare affetto e non fare sentire la neomamma da sola, possono ascoltare e offrire sostegno, ovviamente se tutto questo non incontra resiste.
Oltre il 70 percento delle neomamme, nei giorni seguenti il parto, manifesta sintomi leggeri di depressione: il perdiuatra e psicoanalista inglese Donald Winnicot ha coniato il termine baby blues per descrivere lo stato di malinconia (in inglese “blues”), che caratterizza il fenomeno. Depressione post-partum e baby blues non vanno confuse: non è detto, infatti, che quest’ultima diventi una forma di depressione post-partum, che presenta sintomi ben più gravi e duraturi. La baby blues include tra i sintomi come crisi di pianto senza motivi apparenti, irritabilità, inquietudine e ansietà, che tuttavia spariscono nel giro di pochi giorni (circa quindici). Non richiede, dunque, particolari cure che non siano affidate a buonsenso, pazienza e affetto di chi sta accando alla donna che ne è colpita.
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]]>Che cos’è la mononucleosi? Come abbiamo anticipato, si tratta di una malattia infettiva: nei Paesi industrializzati colpisce prevalentemente soggetti in età giovane-adulta, con una netta prevalenza negli adolescenti, mentre nei Paesi in via di sviluppo è più frequente l’infezione in età infantile, spesso nei primi 5 anni di vita. Giovani e bimbi trascorrono molto tempo in luoghi affollati e in comunità (come scuole, asili, palestre) e hanno dunque un’elevata possibilità di entrare in contatto con il virus responsabile. L’argomento, che allarma molti genitori, è da trattare con calma e serenità, poiché anche i più piccoli sono generalmente in grado di affrontare e superare la mononucleosi senza problemi. Responsabile della malattia è il virus di Epstein-Barr (EBV), appartenente alla famiglia degli herpes virus.
Come si prende la mononucleosi? Il contagio può essere diretto e avvenire tramite la saliva e le urine, i rapporti sessuali non protetti o le trasfusioni di sangue ed emoderivati, ma è anche possibile un contagio in modalità indirette, ad esempio per contatto con goccioline diffuse tossendo o tramite l’utilizzo comune di oggetti contaminati, come posate, bicchieri o giocattoli. La contagiosità permane per molto tempo, perché l’eliminazione faringea del virus persiste sino a un anno dopo l’infezione.
Nei periodi di riattivazione del virus, inoltre, gli stessi portatori sani possono diventare fonte di contagio. Ad ogni modo, quando si viene infettati una volta, ogni contatto successivo con una persona affetta da mononucleosi è privo di conseguenze. Per quanto riguarda l’argomento mononucleosi incubazione, questo varia da pochi giorni alle tre settimane e, trascorso questo periodo, la malattia si manifesta con alcuni sintomi poco caratteristici.
Mononucleosi sintomi:
Alcuni dei sintomi possono essere molto blandi (per questo molti cercano informazioni più approfondite sul legame mononucleosi mal di gola), quindi capita che si scopra di avere la malattia per caso. Gli esami per mononucleosi sono molto specifici: una diagnosi certa si raggiunge soltanto mediate la constatazione della presenza di linfociti caratteristici nel sangue (linfocitosi) associata a test anticorpali e riscontri sierologici (presenza di anticorpi eterofili circolanti e/o anticorpi diretti contro proteine specifiche di EBV).
Ecco alcuni degli esami da effettuare:
Come si trasmette la mononucleosi? La mononucleosi è anche nota come malattia del bacio, perché si tramette generalmente attraverso la saliva. Meno spesso viene contratta in seguito alla condivisione di oggetti entrati in contatto con un soggetto infetto.
L’argomento mononucleosi in gravidanza preoccupa molte future mamme, ma bisogna subito dire che, qualora venga contratta da una donna incinta, non comporta rischi aggiuntivi né per la mamma, né per il bebè. Unico inconveniente è un possibile indebolimento del sistema immunitario materno, che può favorire la comparsa di altre infezioni. Stando a riposo, però, non si corrono gravi pericoli.
Chiudiamo trattando l’argomento mononucleosi cura. Nella maggior parte dei casi, la malattia si risolve senza complicazioni, entro due o tre settimane dall’esordio dei sintomi. Raramente si presentano ricadute croniche negli anni che seguono, ma alcuni pazienti accusano stanchezza e difficoltà di concentrazione per diversi mesi. L’EBV, infatti, anche dopo la guarigione rimane latente e può riattivarsi, dando luogo alla cosiddetta “sindrome da fatica cronica”.
Come si cura la mononucleosi? Il paziente deve stare a riposo ed evitare sforzi fisici per un tempo di almeno 6-8 settimane, soprattutto se si presenta un ingrossamento della milza. Proprio la rottura della milza per traumi addominali, è una complicanza rara, ma temibilissima. Non esistono farmaci specifici per la cura della mononucleosi, ma terapie sintomatiche: si somministrano analgesici e antipiretici, come il paracetamolo. Nei casi più gravi si fa ricorso ai farmaci corticosteroidei. Non si utilizzano antibiotici, che in caso di malattia virale non servono a nulla e possono causare ulteriori danni al sistema immunitario.
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]]>L'articolo Saldi invernali 2018: consigli utili proviene da MammeUp.
]]>Iniziamo subito illustrando il calendario con le date ufficiali di inizio e fine dei saldi invernali 2018, divise per regione.
Ormai è assodato: la maggior parte del budget familiare è dedicato all’acquisto di abbigliamento per bambini o neonati, e il periodo dei saldi invernali è sicuramente il più propizio dell’anno per portare a casa capi, oggetti e accessori al prezzo più conveniente e fare un pò di shopping anche per i più grandi!
Ma come affrontare i saldi nel modo migliore? Ricordatevi sempre di affrontarli con razionalità e non fatevi prendere da quell’istinto irrefrenabile dello shopping compulsivo! Stabilite quanto potete spendere e datevi un limite di budget per l’acquisto di ciò che realmente manca nel vostro armadio, anche se questo sicuramente è il periodo in cui potrete togliervi qualche sfizio, come quel vestito che avevate adocchiato in una vetrina del centro ma che costava un occhio della testa!
Sebbene in molti negozi è possibile trovare offerte molto convenienti, ricordatevi che internet ha sempre un vantaggio in più: infatti, potete contrassegnare i vostri capi preferiti e acquistarli appena andranno in saldo senza alcuna fila alle casse e la paura che non ci sia più!
I grandi store online come Zalando, Zara, H&M e molti altri daranno inizio ai saldi invernali dai primi giorni del 2018, quindi se volete anticipare di qualche giorno la data di inizio e aggiudicarvi un capo non perdete tempo!
Inoltre, nei negozi fisici spesso è possibile trovare i capi delle stagioni precedenti, con sconti superiori al 50%. Per questo ricordatevi di guardare sempre con sospetto questi prezzi “super stracciati” ma se il capo proprio vi piace, chiudete un occhio e compratelo lo stesso!
Sempre alla ricerca di tutine e capi di abbigliamento comodi per i propri figli, in questo periodo le mamme possono osare un pò di più acquistando magliette e pantaloni più originali da far indossare ai più piccoli nelle occasioni speciali. Di seguito alcuni consigli sugli acquisti per i vostri bambini.
Cosa comprare durante i saldi invernali?
Infine, il consiglio che vogliamo lasciarvi è quello di cogliere l’occasione per acquistare anche qualche capo per l’anno prossimo, con una taglia in più.
Non ci resta che augurarvi buono shopping!
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]]>L'articolo Cos’è la congiuntivite: tutti i sintomi e le cure proviene da MammeUp.
]]>Sono varie le cause che provocano la congiuntivite. Una di queste è l’allergia causata da una reazione anomala del sistema immunitario nei confronti di determinate sostanze definite allergeni. L’organismo produce un anticorpo, chiamato immunoglobina E, che favorisce il rilascio, da parte delle cellule della mucosa dell’occhio, di istamina, una situazione che può provocare diversi sintomi, come la congiuntivite che, solitamente colpisce entrambi gli occhi.
Esiste anche una congiuntivite causata dall’irritazione per la presenza di corpi estranei o di sostanze chimiche nell’occhio. In questi casi anche strofinare gli occhi per cercare di liberarli dagli agenti esterni può causare una sensazione di irritazione e l’arrossamento.
Il sintomo più evidente della congiuntivite è il rossore oculare seguito da un altro spiacevole disturbo, la presenza di secrezione, che può essere acquosa o purulenta, a seconda del microrganismo responsabile dell’infiammazione. Un altro sintomo comune è il prurito in uno o in entrambi gli occhi, una sensazione di occhi appiccicosi (che si verifica soprattutto al mattino appena svegli), lacrimazione o una sensazione di sabbia negli occhi. Anche il fastidio alla luce e il gonfiore delle palpebre è un comune.
Generalmente nelle congiuntiviti batteriche o virali la secrezione è purulenta perché è presente del pus: per questo motivo l’occhio al mattino si presenta “appiccicoso” e le palpebre sembrano “incollate”.
Spesso la congiuntivite di tipo infettivo colpisce all’inizio un solo occhio e poi si estende rapidamente anche all’altro.
La congiuntivite virale è un’infezione altamente contagiosa. Il virus può essere trasmesso da persona a persona per un periodo variabile dai 10 ai 12 giorni dopo l’esordio dei sintomi.
Per queste ragioni i pazienti affetti dovrebbero evitare sia il contatto diretto con gli altri, sia la condivisione di asciugamani di cuscini ed oggetti da toeletta in genere. La trasmissione del virus può avvenire attraverso l’accidentale inoculazione di particelle virali direttamente dalle mani o anche tramite il contatto con le microgoccioline di saliva provenienti dal tratto respiratorio superiore di un paziente infetto.
La congiuntivite virale o allergica non hanno alcun rischio durante la gravidanza, ma congiuntivite batterica quando non vengono adeguatamente trattati, possono portare danni all’occhio.
Il trattamento della congiuntivite in gravidanza consiste nel tenere gli occhi puliti e asciutti, utilizzo di carta usa e getta, tessuti e lavare il viso con abbondante acqua o impacchi di soluzione salina normale. Solo in caso di congiuntivite batterica è che il medico deve indicare l’utilizzo di un collirio antibiotico.
Per controllare i sintomi di congiuntivite, si può optare a rimedi casalinghi: gli impacchi con acqua fredda più volte al giorno; o quelli alla camomilla (fredda) o mescolato con succo di carota, da 2 a 3 volte al giorno.
E’ fondamentale che l e congiuntiviti vengano trattate correttamente per evitare eventuali complicazioni. Solitamente il trattamento prevede l’uso di colliri o l’applicazione di pomate specifiche a base di antibiotici o antivirali per la cura delle congiuntiviti infettive oppure di antistaminici o di cortisonici per la cura delle forme allergiche. Se la congiuntivite è la conseguenza di una reazione causata dal contatto con sostanze irritanti contenute ad esempio in trucchi, creme cosmetiche, detersivi, saponi, profumi ecc. è indispensabile procedere all’eliminazione della causa individuata come responsabile dell’infiammazione alla congiuntiva.
Ci sono comunque diversi rimedi naturali utili contro la congiuntivite. Si possono effettuare degli impacchi con le bustine di tè raffreddate da applicare sugli occhi arrossati, per alleviare i sintomi. Gli impacchi possono essere effettuati anche con la camomilla, dai tanti effetti benefici.
Può essere d’aiuto anche l’olio essenziale di camomilla, unito alla tintura madre di amamelide. Mettiamo una goccia del primo in un cucchiaio della seconda. Mescoliamo il composto a 30 millilitri di acqua di rose e fare riposare per circa 7 ore. Poi bisogna filtrare il composto usando una garza e applicarlo sugli occhi chiusi. In caso di congiuntivite, possiamo applicare anche un impacco di malva, dopo aver preparato con delle bustine un infuso. E’ una pianta dall’effetto calmante utile in caso di infiammazione.
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]]>L'articolo Mal di gola: le cause e tutti i rimedi più efficaci proviene da MammeUp.
]]>Per placarlo esistono alcuni farmaci molto comuni, ma anche tantissimi rimedi naturali altrettanto efficaci che possono sconfiggere il mal di gola e placare il rossore. Studi scientifici, infatti, ne hanno dimostrato l’efficacia, soprattutto di alcuni che sono davvero potenti.
Tosse, mal di gola, raffreddore: sono tipici mali invernali. Ma come affrontarli in gravidanza? Se il mal di gola è molto inteso il paracetamolo è la prima scelta perché oltre a essere il principio attivo più efficace per abbassare un’eventuale febbre, esercita anche un’azione antinfiammatoria.
E’ chiaro che va assunto secondo il dosaggio consigliato nel foglietto illustrativo.
Anche l’Aspirina, può essere presa, ma per estrema cautela è meglio evitarla nel primo trimestre. “Secondo alcuni studi, ancora da confermare definitivamente, potrebbe infatti aumentare il rischio di aborto spontaneo” sottolinea l’esperto.
Gli antinfiammatori anti-steroidei come l’ibuprofene o il diclofenac, invece, devono essere assolutamente evitata dopo la 30ma settimana di gestazione.
Gli spray e le caramelle ad azione balsamica, consigliati in caso di tosse e mal di gola possono essere utilizzati, ma hanno un’efficacia è piuttosto limitata, In ogni caso, è sempre bene far presente al farmacista il proprio stato di gravidanza, così da esser certe di acquistare un prodotto adatto.
Il mal di gola, però, può essere debellato anche attraverso alcuni rimedi naturali che hanno la stessa efficacia dei farmaci, ma la metà delle controindicazioni.
Il miele grezzo
L’efficacia del miele per il mal di gola è stato scientificamente testato. Studi in vitro hanno dimostrato che alcuni mieli freschi hanno una capacità anti- infiammatoria e anti- batterica. Inoltre il miele ha tante proprietà antiossidanti. Quando si ha la gola infiammata le sue proprietà lenitive sono miracolose. Il perossido di idrogeno che viene prodotto naturalmente ha una forte attività antisettica. Se si ha mal di gola uno dei classici rimedi delle nonna è il latte caldo con un bel cucchiaio di miele. Il migliore è quello grezzo biologico artigianale.
Zenzero crudo
Lo zenzero crudo è uno dei rimedi naturali più diffusi nell’antica medicina cinese e Ayurveda. La sua efficacia è stata riscontrata così come le sua capacità antinfiammatorie. Lo zenzero è uno dei rimedi più utilizzati sopratutto dalla donne in gravidanza. Evitare quello essiccato perchè potrebbe aumentare l’infiammazione, ma usare quello fresco a piccoli pezzettini. Lo si può associare anche con lo zenzero.
Oli essenziali
Gli oli essenziali puri sono molto efficaci e vengono utilizzati in vari modi per sedare il bruciore della gola dai gargarismi a i suffumigi.
L’olio essenziale di eucalipto è ricavato dalle foglie della Eucaliptus globulus, una pianta della famiglia delle Mirtaceae. Incolore, ha un odore fresco e intenso.
L’olio essenziale di limone è ricavato dai frutti di Citrus Limonum (albero di limone), una pianta della famiglia delle Rutaceae. Ha un colore verde giallastro. Si caratterizza per il suo profumo dolce e agrumato.
Entrambi gli oli hanno molteplici proprietà terapeutiche, cosmetiche e aromaterapiche, ma il loro effetto sinergico è particolarmente utile nel periodo invernale e autunnale per debellare virus e batteri. Sono ideali per bonificare gli spazi chiusi dove non si ha un ricambio continuo d’aria e che rappresentano quindi un contesto fertile per i batteri.
L’ olio essenziale di eucalipto svolge azione: Anti infiammatoria: sfiamma l’irritazione delle mucose nasali. Espettorante e balsamica: fluidifica il catarro, facilitando l’espulsione del muco
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]]>L'articolo Cos’è la Scarlattina: tutti i sintomi per riconoscerla e la cura proviene da MammeUp.
]]>La scarlattina si trasmette per via aerea per curarla non esiste un vaccino ma si può curare efficacemente tramite la somministrazione di antibiotici. La scarlattina, prima dell’invenzione dell’antibiotico rappresentava una delle principali cause di morte era responsabile per l’insorgenza di complicanze tardive come la glomerulonefrite e l’endocardite, quest’ultima poi spesso causa di problemi alle valvole cardiache spesso di esito infausto.
La scarlattina ha un periodo di incubazione che va da 2-5 giorni di contagio.
E’ una malattia contagiosa, soprattutto durante la fase acuta della malattia mentre lo è poco nel periodo che la precede e non lo è più dopo 24-48 ore dall’inizio della necessaria terapia antibiotica. I sintomi più comuni compaiono dal terzo giorno dal contagio e sono mal di gola, vomito, febbre, brividi e mal di testa. In particolare la lingua si copre in principio di una patina bianca che poi diventerà rosso fragola. Dopo un altro paio di giorni arriva anche una caratteristica eruzione cutanea:una miriade di macchioline rossastre che cominciano a manifestarsi sulle parti calde e umide del corpo come i lati del torace, l’inguine e il dorso. Alla fine l’esantema interessa tutto il corpo, tranne che l’interno dei gomiti, e il viso, tranne che la parte intorno alla bocca.
La scarlattina è una malattia contagiosa soprattutto nei bambini fino ai 12 anni. Nei luoghi come gli asili, le scuole, le palestre frequentate dai bambini è più facile che se la contagino a vicenda. Non è escluso però che ci si possa ammalare anche da adulti entrando in contatto con persone infette dal batterio Streptococco beta emolitico (gruppo A) che causa la patologia. Non esiste un vaccino e l’unico modo per non incorrere nella malattia è stare lontani da persone che hanno già mostrato segni evidenti della presenza di scarlattina.
E’ raro che la scarlattina compaia nei neonati al di sotto dei 6 mesi (di solito sono più soggetti i bambini a partire dai 2 anni). Anche in questo caso, tra l’altro, la malattia esantematica dovuta allo Streptococco Beta emolitico (gruppo A) non risulta essere pericolosa, salvo ovviamente curarla nel modo più corretto secondo le indicazioni del pediatra di fiducia.Si tratta di una patologia indubbiamente fastidiosa e un po’ debilitante che richiede cure e riposo ma che non è rischiosa visto che ormai viene tempestivamente riconosciuta e curata. In genere comunque i bambini hanno una buona capacità di recupero e nel giro di massimo due settimane sono completamente ristabiliti. Già dopo 48 ore dall’inizio della terapia non sono più contagiosi e in teoria potrebbero riprendere le loro attività, ma meglio tenerli riguardi.
Può succedere che durante la gravidanza si rimane contagiati dalla scarlattina, soprattutto se la mamma ha già un figlio piccolo che frequenta asilo o scuola e che a sua volta ha preso la malattia. Tutte le donne in gravidanza, però, non devono preoccuparsi perché la scarlattina non mette a rischio la buona salute del nascituro né quella della mamma, a patto ovviamente che venga riconosciuta e trattata.
C’è una rarissima possibilità di parto prematuro nel caso il batterio responsabile della malattia si sia annidato anche nella vagina, cosa che non avviene comunque molto spesso. Importante quindi consultare subito il proprio ginecologo che valuterà l’eventualità di fare un tampone vaginale.
La causa della scarlattina è un batterio e per questo per curarla servono inevitabilmente degli antiobiotici da assumere per almeno una settimana ma spesso anche 10 giorni. Durante questo periodo è bene affiancare l’utilizzo di probiotici che possano ripristinare la flora batterica buona che è stata decimata in seguito all’utilizzo di questi medicinali. E’ molto importante anche bere molta acqua per tenere ben idratato l’organismo infiammato e riposarsi il più possibile. Solitamente bisogna attendere almeno due settimane per guarire definitivamente dalla scarlattina.
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]]>Quali sono i sintomi della pertosse? Riconoscerla, anche guardando al nome, non è poi così difficile. Le caratteristiche principali, molto banalmente, riguardano gli attacchi di tosse convulsa, anche di notte. Le crisi consistono in violente raffiche di tosse secca con fiato trattenuto, cui fa seguito il tipico urlo che serve a immettere velocemente ossigeno nei polmoni. La tosse arriva dopo l’incubazione tra i 7 e i 10 giorni. In questa fase la tosse è catarrale, specie di notte, con starnuti e muco del naso. Via via che passano le ore, la tosse diventa più secca e sopraggiunge anche di giorno. Dopo circa due settimane si profila la fase acuta della malattia. Si traduce in sequenze di colpi di tosse ravvicinati e sempre più intensi che, impedendo di riprendere fiato, sono seguite da una profonda inspirazione di aria accompagnata da un tipico “urlo”. Da qui il nome di tosse canina. La frequenza di questi attacchi è molto variabile e può arrivare a diverse decine al giorno. Qualche volta gli attacchi sono accompagnati da vomito e cianosi: in altre parole, il bambino assume un colorito violaceo a causa dell’insufficiente ossigenazione dei tessuti. Dopo altre due settimane gli attacchi diminuiscono di intensità e frequenza e comincia la lunga fase della convalescenza. Il bambino può comunque continuare a presentare una tosse fastidiosa per diverse settimane. Non è ricaduta, ma normale “ripresa” dei polmoni, che vanno riassestandosi.
Pertosse e neonati, come dicevamo già all’inizio dell’articolo, può essere un binomio molto pericoloso. Le complicazioni, infatti, sono spiacevoli. Le più gravi sono sicuramente la broncopolmonite, ancorché fenomeno raro, e l’encefalite, malattia che agisce sul cervello. L’encefalite tende a colpire in particolare i bambini di pochi mesi ed è provocata dal mancato apporto di ossigeno al cervello. Tale cortocircuito deriva dalle crisi di apnea – respirazione di fatto sospesa – che nei lattanti vanno di pari passo con attacchi di tosse intensa.
La pertosse, ovviamente, non risparmia gli adulti in generale e le donne in gravidanza in particolare. C’è da dire che la malattia, in questo caso, colpisce di rado ed è meno grave. Le complicazioni altro non sono che la tosse stessa. Può anche capitare, benché molto difficile, che si fratturi una costola a causa degli attacchi intensi. In linea di massima, soltanto il 5% degli adulti con la pertosse finisce in ospedale, con la polmonite diagnosticata soltanto nel 2% dei casi. Può capitare che si perda peso, che si perda controllo della vescica o che si svenga.
Come si cura la pertosse? Trattandosi di una malattia di origine batterica, sono necessari gli antibiotici, in particolare l’eritromicina da somministrare per due settimane. Oltre a eliminare il pericolo di contagio dopo 5 giorni, la cura riduce i tempi della malattia portando il bimbo alla guarigione entro due settimane. Per essere più efficaci, i farmaci vanno presi alla comparsa dei primi sintomi, cioè nella fase della tosse catarrale. Per ridurre frequenza e intensità degli attacchi di tosse convulsa il pediatra può prescrivere farmaci a base di cortisone.
Manco a dirlo, comunque, l’arma di difesa più importante è il vaccino contro la pertosse. Questa malattia infettiva, è bene ribadirlo, può portare a serie complicazioni, dunque l’argomento non è da sottovalutare. In genere il vaccino della pertosse è somministrato in associazione a quelli obbligatori contro il tetano e la difterite, in tre dosi successive, all’età di 2-3, 5 mesi e 11 mesi con un richiamo verso i 5-6 anni.
Al di là della necessità di curarsi con i farmaci, i rimedi naturali possono aiutare molto per alleviare i sintomi. A cominciare dal miele, in grado di uccidere i batteri. Il modo migliore per sfruttarne l’efficacia è di mangiarne un cucchiaino prima di andare a dormire, oppure di mischiarlo in un succo di rafano fresco tre volte al giorno. Un ottimo alleato è l’origano, erba con proprietà espettoranti, antibatteriche e antispasmodiche. Pulisce i polmoni dal muco e scaccia via la tosse secca. Per ottenere i risultati fate bollire dell’acqua e versate sei gocce di olio di origano, coprite la testa con un asciugamano e inalate il vapore. La camomilla è fenomenale. È universalmente riconosciuta per le sue proprietà lenitive, immunostimolanti e antinfiammatorie. Il limone è un ottimo antibatterico. Il succo serve a ridurre lo spessore del muco e la vitamina C stimola le difese immunitarie. Per godere dei suoi benefici potete spremere un limone in acqua tiepida da bere due o tre volte al giorno. Sapevate della liquirizia? Il suo effetto emolliente protegge la gola dalla tosse, creando uno strato di mucillagine che protegge i tessuti. Consumatela in infusi da bere due volte al giorno. Le mandorle sono fantastiche. Per apprezzare i suoi effetti lasciate a bagno sei mandorle per una notte intera, al mattino togliete la buccia e macinate le mandorle in una pasta fine, aggiungete un cucchiaio di burro e mangiate il composto tre volte al giorno. L’aglio può essere considerato un antibiotico naturale contro tosse e pertosse. Per consumarlo basta tritare un aglio intero e versare due cucchiai in acqua bollente, coprire la testa con un asciugamano e respirare il vapore. Infine il trittico curcuma-zenzero-zafferano. Il metodo migliore è mischiarli in un bicchiere di acqua tiepida insieme a un cucchiaino di miele grezzo.
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]]>Quali sono i sintomi degli orecchioni? Dopo un’incubazione che va dai 10 ai 21 giorni, compaiono quelli comuni a molte patologie. È uno spiacevole ibrido tra mal di testa, mal di pancia, una leggera nausea, febbre, senso di spossatezza. Può anche capitare – è bene sottolinearlo – che in alcuni bambini non compaiano i sintomi della parotite considerati tipici. Una delle due ghiandole parotidi inizia a gonfiarsi, in genere, dopo 3 giorni; nel giro di 2 giorni, poi, lo stesso processo si verifica anche nell’altra ghiandola. L’apice del rigonfiamento arriva in 3 giorni, dunque si attenua e dovrebbe scomparire in una settimana o poco più. Non è infrequente che il bimbo avverta dolore dietro l’orecchio, anche intenso, e guance gonfie in maniera notevole. E, proprio quando le ghiandole sono molto gonfie, vostro figlio potrebbe far fatica a mangiare per il dolore: con la masticazione, del resto, si muove la mandibola, stimolando la zona infiammata. Gli orecchioni possono anche essere senza febbre, ma in genere si raggiungono i 38-39 gradi di temperatura.
Gli orecchioni in gravidanza meritano un capitolo a parte. Del resto gli orecchioni in età adulta non sono un copione infrequente come potrebbe sembrare di primo acchito. Durante la gravidanza il virus può essere contratto. Come? Bastano anche delle goccioline di saliva emesse con la respirazione. I sintomi sono i soliti: gonfiore e dolore alle ghiandole salivari, oltre che alle ovaie, senza dimenticare il pancreas. E ancora difficoltà a deglutire e dunque a mangiare, senso di spossatezza, febbre. Se la parotite, sfortunatamente, arriva nelle prime 12 settimane di gravidanza, si potrebbe verificare un aborto spontaneo. Per questo è sempre consigliabile il vaccino, insieme a quello per il morbillo e la rosolia. Capite bene, in altre parole, che gli orecchioni in un adulto possono essere un problema parecchio spiacevole. Negli uomini, peraltro, può perfino verificarsi l’atrofizzazione dei testicoli con conseguente sterilità, ma è un caso molto raro. Attenzione, poi, a pancreatite e a meningite parotitica, seppur curabili.
Come per le altre malattie virali, anche per la parotite (o gli orecchioni, che dir si voglia) non esiste una vera e propria cura ufficiale. Il pediatra, però, può attutire i sintomi dando al bambino un antifebbrile a base di paracetamolo, quando la temperatura supera i 38 gradi. Oppure qualche antidolorifico se i fastidi non sono sopportabili a causa del rigonfiamento delle ghiandole. Non è strettamente necessario tenere il bambino a letto con il regime di “riposo forzato”, per così dire. La cosa più importante di tutte, comunque, resta il vaccino. Di norma viene somministrato ai bambini tra i 15 e i 18 mesi di età con un richiamo tra i 5 e i 6 anni. È associato alle vaccinazioni contro rosolia e morbillo e resta il miglior rimedio in assoluto.
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]]>La diagnosi dipende principalmente dai sintomi che il paziente riferisce e, in alcuni casi, i pazienti considerano questi sintomi come immaginari o non importanti. Negli ultimi anni, comunque, la fibromialgia è stata definita meglio, anche grazie a studi che hanno fornito alcune linee guida per la diagnosi: certi sintomi, come il dolore muscoloscheletrico diffuso e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione (tender points) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose.
Fiabromialgia sintomi iniziali, quali sono? Il dolore è il sintomo predominante di questa sindrome: generalmente si manifesta in tutto il corpo, sebbene a volte inizi in una sede localizzata, come ad esempio il rachide cervicale e le spalle, diffondendosi man mano in altre sedi. Il dolore fibromialgico può variare in relazione ai momenti della giornata, ai livelli di attività, alle condizioni atmosferiche, ai ritmi del sonno e allo stress. Quando viene descritto, se ne parla in termini di bruciore, rigidità, contrattura o anche tensione. Per quanto riguarda fibromialgia sintomi, la maggior parte dei pazienti riferisce di sentire costantemente un certo grado di dolore, avvertito principalmente ai muscoli e di avvertire anche malessere generale. In alcuni casi il dolore può essere molto intenso.
Fibromialgia come riconoscerla? Sebbene anche durante una visita le persone appaiano sane, un esame attento dei muscoli rivela la presenza di aree dolenti in sedi specifiche. La presenza e la tipologia di queste aree algogene, chiamate tender points, insieme al dolore diffuso, separa i pazienti affetti da fibromialgia da quelli che soffrono di altre patologie. I tender points sono quasi sempre presenti su entrambi i lati del corpo, ma possono essere latenti (cioè il dolore compare solo in seguito a digitopressione). Sebbene i tender points definiti dai criteri classificativi e diagnostici dell’American College of Rheumatology nel 1990 siano stati utilizzati per la diagnosi, molti altri muscoli o aree inserzionali possono essere dolenti.
Passiamo adesso ad approfondire l’argomento fibromialgia cause. Al momento, la causa della sindrome rimane ignota e sono diversi i fattori che possono scatenarla. Possono influire ad esempio eventi stressanti come una malattia, un lutto familiare, un trauma fisico o psichico: questi possono portare a dolore generalizzato, affaticamento e alterazioni del sonno tipici della fibromialgia.
È comunque improbabile che la sindrome fibromialgica sia provocata da una singola causa: molti pazienti, infatti, non sono in grado di identificare alcun singolo evento che abbia determinato l’insorgenza dei sintomi. Molti studi hanno valutato alterazioni di mediatori chimici quali i neurotrasmettitori a livello centrale o di sostanze ormonali; altri autori hanno osservato significative alterazioni nella qualità del sonno e/o una particolare vulnerabilità dei muscoli a microtraumi ripetuti.
La sindrome fibromialgica sembra dipendere da una ridotta soglia di sopportazione del dolore dovuta ad una alterazione delle modalità di percezione a livello del sistema nervoso centrale, degli input somatoestesici (alterazione della soglia nocicettiva).
Ecco quali sono i fattori esterni che possono peggiorare i sintomi:
Fibromialgia diagnosi, come viene diagnosticata la sindrome? La diagnosi di sindrome fibromialgica si basa sulla presenza di dolore diffuso, in combinazione con la presenza di tender points evocabili alla digitopressione. Non c’è un esame di laboratorio o radiologico che possa diagnosticare la fibromialgia, ma i test possono essere utili per escludere la presenza di altre patologie, come l’ipotiroidismo che può causare segni e sintomi simili alla fibromialgia.
I sintomi di fibromialgia sono generici e spesso sono simili a quelli di altre malattie, dunque molti pazienti vanno incontro a complicate e a volte ripetitive valutazioni prima che venga fatta una diagnosi esatta. Non tutti i medici conoscono la fibromialgia ed è pertanto importante vedere un reumatologo o altri medici che siano in grado di effettuare una corretta diagnosi ed un trattamento specifico.
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]]>L'articolo Assegni familiari: gli importi per il 2018 proviene da MammeUp.
]]>Si tratta, in poche parole, di una somma di denaro erogata dall’Inps. Per riceverla, bisogna inoltrare l’apposita domanda di autorizzazione al rilascio degli Anf (Assegno al nucleo familiare) a lavoratori e pensionati. L’obiettivo, molto banalmente, è sostenere il reddito delle famiglie che rientrano in un determinato perimetro di reddito.
Chi ha diritto agli assegni familiari? Va da sé, ma è comunque bene precisarlo, che bisogna sempre guardare al reddito per assegni familiari. Gli assegni familiari 2018 sono riconosciuti a pensionati e dipendenti, e anche ai lavoratori iscritti alla gestione separata, lavoratori domestici e dipendenti agricoli.
Ricapitolando, l’assegno nucleo familiare 2018 spetta a:
Il diritto decorre dal primo giorno del periodo di paga o di pagamento della prestazione previdenziale, nel corso del quale si verificano le condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto. Per fare giusto un paio di esempi, celebrazione del matrimonio e nascita del figlio o dei figli. La cessazione avviene alla fine del periodo in corso o alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare. Seguendo gli esempi di poco fa, separazione legale del coniuge e compimento dei 18 anni da parte del figlio o dei figli. Se spettano assegni giornalieri, il diritto decorre e termina dal giorno in cui si verificano o vengono a mancare le condizioni prescritte. Non possono essere erogati complessivamente più di 6 assegni giornalieri per ciascuna settimana e 26 per ogni mese. Per i pagamenti subordinati ad autorizzazione da parte dell’Inps, la data iniziale dell’erogazione e quella di scadenza sono indicate nell’autorizzazione. Se la domanda viene presentata per uno o per più periodi pregressi, gli arretrati spettanti vengono corrisposti entro 5 anni, secondo il termine di prescrizione quinquennale.
Le tabelle con i nuovi importi per il 2018 con i nuovi limiti di reddito sono state rese note dall’Inps con una circolare specifica. In dettaglio, l’Istituto ha riconfermato che gli importi assegni familiari 2018 rimangono invariati rispetto all’anno precedente. Le nuove tabelle si riferiscono agli importi spettanti dal 1 luglio 2017 al 30 giugno 2018. Ad esempio per una famiglia con almeno 3 minori ed entro il seguente limite di reddito, spetta un assegno pari a 141,30 euro con un limite di reddito Isse 2018 pari a 8.555,99 euro.
Per tutte le altre informazioni, va fatto riferimento alla scheda sul sito dell’Inps.
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]]>L'articolo Streptococco, tutto quello che c’è da sapere proviene da MammeUp.
]]>Può capitare, ad esempio, che dietro quella che sembra una comune influenza un po’ troppo persistente si nasconda proprio un’infezione da streptococco. In questi casi è importante intervenire, verificando che sia davvero così, diagnosticando il problema con analisi adeguate e seguendo le cure adeguate. L’infezione debitamente curata andrà via quasi subito, servirà solo un po’ di tempo per riprendersi.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando, partiamo anzitutto dal comprendere cosa è lo streptococco. Lo Streptococcus Pyogenes, oppure streptococco beta-emolitico gruppo A, è il principale batterio che causa faringite. È importante specificare che nella maggior parte dei casi la faringite ha origine virale e che solo nel 30% dei casi può essere provocata dal batterio. Questo significa che non bisogna subito pensare allo streptococco quando un bambino ha mal di gola e febbre.
Lo streptococco agalactiae è più noto con il nome di streptococco beta-emolitico del gruppo B e rappresenta uno dei microorganismi potenzialmente patogeni maggiormente temuto dalle donne in gravidanza. Quando si parla di streptococco agalactiae, streptococco beta-emolitico del gruppo B e streptococchi beta-emolitici del gruppo B, spesso e volentieri, si genera molta confusione. In realtà, tutte le suddette denominazioni stanno ad indicare la medesima specie batterica: lo Streptococcus agalactiae.
Abbiamo dunque visto che esiste una differenza tra streptococco beta-emolitico del gruppo A e streptococco beta-emolitico del gruppo B. Lo streptococco beta emolitico di gruppo B (o SBEGB) è coinvolto nelle infezioni sistemiche e focali gravi nel neonato, quali meningite e polmonite, mentre lo streptococco beta-emolitico gruppo A è il principale batterio che causa faringite: in questo secondo caso, dunque esiste una correlazione streptococco gola.
Partendo dal presupposto che esistono casi di streptococco senza febbre, per quanto riguarda il gruppo A, a proposito di streptococco sintomi possiamo citare i seguenti:
Gli streptococchi di gruppo B sono responsabili di meningiti, endocarditi, artrite settica e setticemia. Ecco i sintomi:
Vediamo dunque come si prende lo streptococco. In generale, veniamo spesso in contatto con i batteri della specie streptococco che abitano nel nostro organismo, in alcuni casi in maniera asintomatica. Quando però il sistema immunitario va incontro a un abbassamento delle difese, le specie più aggressive di streptococco possono prendere il sopravvento. Frequentare luoghi chiusi e affollati può agevolare l’infezione.
Ecco dunque le cause:
Argomento molto delicato è quello dello streptococco in gravidanza. Lo streptococco può trovarsi nell’ambiente vaginale e in situazioni di normalità non ha alcun tipo di complicazioni. Diverso è il caso di un parto imminente. La presenza del microrganismo può essere pericolosa per il neonato: se si presenta a livello vaginale o anale è necessario seguire una terapia antibiotica durante il parto. Una volta sviluppati i sintomi è importante sottoporsi a un tampone per avere certezza di ciò che accade.
Streptococco bambini, cosa fare? Dato che ad agevolare la trasmissione sono i luoghi chiusi e affollati, sono proprio i bambini i più colpiti. L’infezione si trasmette attraverso le vie respiratorie e il bimbo è contagioso nei due giorni precedenti la comparsa della febbre fino al giorno successivo all’inizio della terapia antibiotica. La fascia più vulnerabile è quella che va dai 3 ai 10 anni, mentre si assiste a un calo dopo i 14 anni.
Streptococco quando tornare a scuola: se il bambino non ha febbre e sta bene, può tornare a scuola dopo 24 ore dall’inizio della terapia antibiotica. In generale, comunque, è consigliabile aspettare qualche giorno in più, per dare modo al bambino di rimettersi al meglio.
Vediamo adesso come si cura lo streptococco. Per essere sicuri di essere in presenza dell’infezione, si può fare il tampone per streptococco: qualora confermata, si procede così. Si inizia una terapia antibiotica e l’antibiotico per streptococco usa come principio attivo l’amoxicillina, da assumere per 10 giorni. In alternativa ci sono le cefalosporine di 2° o 3° generazione, da assumere per 5 giorni. Se invece la faringite è provocata da un’infezione virale, non occorrono terapie perché guarisce da sola.
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]]>L'articolo Bonus babysitter 2018. Requisiti e domanda per ottenere il voucher babysitter proviene da MammeUp.
]]>Il beneficio consiste nelle seguenti forme di contributo, alternative tra loro:
L’importo del contributo è di 600,00 euro mensili ed è erogato per un periodo massimo di sei mesi (tre mesi per le lavoratrici iscritte alla gestione separata e per le lavoratrici autonome), divisibile solo per frazioni mensili intere, in alternativa alla fruizione del congedo parentale, comportando conseguentemente la rinuncia dello stesso da parte della lavoratrice.
Le lavoratrici part-time potranno fruire del contributo in misura riproporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, come da tabella allegata alle “Istruzioni per l’assegnazione dei contributi per l’acquisto dei servizi per l’infanzia”.
Possono richiedere il bonus babysitter:
Le lavoratrici madri possono accedere al beneficio anche per più figli, presentando una domanda per ogni figlio purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati.
Non sono ammesse al beneficio:
Secondo quanto spiegato dal sito dell’Inps, Al fine di consentire l’accesso a detti benefici, sono pubblicate, sul WEB dell’Istituto, le istruzioni nelle quali sono stabiliti i tempi e le modalità di presentazione della domanda da parte delle lavoratrici madri.
La domanda deve essere presentata all’Istituto in modo esclusivo attraverso il sito WEB istituzionale, accedendo direttamente tramite PIN “dispositivo” (circolare n. 50 del 5/03/2011), ovvero tramite patronato.
In sede di domanda la lavoratrice richiedente deve:
L’Istituto provvede ad avvisare il datore di lavoro della lavoratrice della proporzionale riduzione del periodo di congedo parentale conseguente alla concessione del beneficio.
La rinuncia del beneficio può essere effettuata dal giorno successivo all’accoglimento della domanda esclusivamente in via telematica sul sito web dell’Istituto (www.inps.it). In caso la rinuncia avvenga in un periodo successivo all’appropriazione telematica dei voucher, i voucher non ancora fruiti dovranno essere restituiti.
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]]>A spiegare nel dettaglio cosa è il bonus bebè è l’Inps sul proprio portale: si tratta di un assegno mensile destinato alle famiglie con un figlio nato, adottato o in affido preadottivo tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 e con un ISEE non superiore a 25.000 euro. L’assegno è annuale e viene corrisposto ogni mese fino al terzo anno di vita del bambino o al terzo anno dall’ingresso in famiglia del figlio adottato.
Esso è stato istituito dall’articolo 1, commi 125-129, legge 23 dicembre 2014, n. 190, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (legge di stabilità per l’anno 2015), mentre con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2015 sono state adottate le relative disposizioni attuative.
L’importo dell’assegno di natalità è pari a 80€ al mese per chi ha un reddito ISEE fino a 25.000 euro, cioè 960 euro l’anno per ogni figlio nuovo nato o adottato, e 160 euro, pari a 1920 euro l’anno per i redditi sotto i 7mila euro.
La legge di Bilancio 2018 ha prorogato il bonus bebè, ma ha dimezzato l’importo dalo 2019 a 480 euro. L’assegno di natalità scende per ogni figlio nato o adottato dal primo gennaio 2019 a 480 euro l’anno, mentre i requisiti restano invariati. La somma viene suddivisa in 12 mensilità per le per le famiglie che in presenza dei requsiti di reddito ISEE (25.000 euro o 7.0000 euro), presentano entro 90 giorni dalla nascita o dall’entrata in famiglia del minore, la domanda bonus bebè all’Inps.
Vediamo dunque bonus bebè a chi spetta. Possono beneficiare dell’assegno di natalità (bonus bebè Inps) i nuclei familiari con un ISEE minorenni in corso di validità non superiore a 25.000 euro. Il pagamento mensile dell’assegno è effettuato dall’Inps direttamente al richiedente tramite bonifico domiciliato, accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con IBAN intestati al richiedente. In sede di invio della domanda è necessario allegare il modello SR/163 in mancanza la domanda rimane sospesa.
La misura dell’assegno dipende dall’ISEE del nucleo familiare: 960 euro l’anno (80 euro al mese per 12 mesi) con ISEE superiore a 7.000 euro annui e non superiore a 25.000 euro annui; 1.920 euro l’anno (160 euro al mese per 12 mesi) con ISEE non superiore a 7.000 euro annui.
La domanda può essere presentata dal genitore che abbia:
Nel caso in cui il figlio venga affidato temporaneamente a terzi, la domanda di assegno può essere presentata dall’affidatario. In questo caso il requisito dell’ ISEE è calcolato con riferimento al nucleo familiare del quale fa parte il minore affidato: precisamente, i minori in affidamento temporaneo sono considerati nuclei familiari a sé stanti, ma l’affidatario ha facoltà di considerarli parte del proprio nucleo.
In caso di nascita o adozione di due o più minori, ad esempio parto gemellare o di ingresso in famiglia gemellare, occorre presentare una domanda per ciascun minore.
Se il genitore che ha i requisiti per avere l’assegno è minorenne o incapace di agire per altri motivi, la domanda è presentata a suo nome dal suo legale rappresentante.
Per poter richiedere l’assegno è necessario presentare una Dichiarazione Sostitutiva Unica ( DSU) ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159/2013. Nel nucleo familiare indicato nella DSU deve essere presente il figlio nato, adottato o in affido preadottivo per il quale si richiede l’assegno. Visto che la DSU scade il 15 gennaio dell’anno successivo a quello della sua presentazione, ogni anno ne va presentata una nuova. In caso contrario, il pagamento dell’assegno viene sospeso finché non si presenta una nuova DSU per il rinnovo dell’ ISEE. Se la DSU non viene presentata entro il 31 dicembre di ciascun anno la domanda decade con conseguente perdita della relativa annualità.
È possibile presentare domanda di assegno in presenza di un ISEE corrente entro il bimestre di validità dello stesso se tale indicatore non è superiore a 25.000 euro annui. In tal caso, l’importo dell’assegno si determina in base al valore dell’ ISEE corrente fino alla presentazione di una nuova DSU.
L’ ISEE corrente, prima della scadenza dei due mesi di validità, può essere rinnovato previa presentazione di un’altra DSU Modulo sostitutivo. Altrimenti, scaduto l’ ISEE corrente, se non viene presentata una nuova DSU modulo Sostitutivo, verrà presa a riferimento l’ultima DSU presentata e l’ ISEE ordinario rilasciato per effetto della stessa.
Solo la DSU va presentata ogni anno e non c’è bisogno di fare una nuova domanda.
La domanda deve essere presentata entro 90 giorni dalla nascita o dalla data di ingresso del minore affidato o adottato nel nucleo familiare. In caso di affido temporaneo, la domanda può essere presentata dall’affidatario entro 90 giorni dall’emanazione del provvedimento del giudice o del provvedimento dei servizi sociali reso esecutivo dal giudice tutelare.
La domanda si può presentare anche tramite Contact Center, al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile, o presso enti di patronato e intermediari dell’Istituto.
La domanda di assegno si presenta online all’INPS, di regola, una sola volta per ogni figlio attraverso il servizio dedicato, che permette di visualizzarne anche l’esito. Al termine dell’istruttoria, il richiedente riceve un sms che lo avverte sulla definizione della domanda. Da quel momento può visualizzare l’esito della domanda (accolta o respinta) accedendo nuovamente al servizio e selezionando nel menu interno la voce “Consultazione domande”. Se nel compilare la domanda online l’utente inserisce anche il suo indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC), può ricevere direttamente nella sua casella PEC il provvedimento di accoglimento o rigetto della domanda.
Con il messaggio n. 4845, l’INPS ha chiarito i tempi e le modalità di pagamento per l’assegno nuovi nati e adottati, affermando che entro la fine di luglio scorso, i soggetti in possesso dei requisiti, sono stati liquidati non solo con la prima mensilità ma con tutti gli arretrati, calcolati dal mese di nascita o di entrata in famiglia del bambino adottato o affidato.
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]]>L'articolo Bonus asilo nido 2018: requisiti e domanda Inps proviene da MammeUp.
]]>Vediamo insieme come ottenere il bonus asilo nido Inps e quali sono i requisiti per poter fare domanda.
Il bonus asilo nido è dunque una agevolazione, confermata anche dalla legge di Bilancio 2018, che nasce allo scopo di aiutare e sostenere le famiglie con bimbi piccoli. Si tratta, dunque di un supporto per i genitori, che possono così sostenere le spese per asili nido pubblici o privati, e per quei bimbi che presentano patologie gravi e necessitano di forme di supporto e assistenza domiciliare.
La legge di Bilancio 2018 ha anche confermato altre forme di sostegno alle famiglie, come il bonus mamma domani. Il bonus asilo nido eroga un contributo pari a 1000 euro, indipendentemente dal reddito Isee. La domanda può essere presentata dal genitore di un minore nato o adottato dal 1° gennaio 2016 in possesso dei requisiti richiesti.
Bonus asilo nido circolare Inps. Per comprendere meglio questa agevolazione, riportiamo le indicazioni dell’Inps:
Il richiedente deve confermare, all’atto dell’allegazione della documentazione a ogni mensilità l l’invarianza dei requisiti rispetto a quanto dichiarato nella domanda. L’erogazione del bonus decade in caso di perdita di uno dei requisiti di legge o di provvedimento negativo del giudice che determina il venir meno dell’affidamento preadottivo.
L’INPS interrompe l’erogazione dell’assegno a partire dal mese successivo all’effettiva conoscenza di uno dei seguenti eventi che determinano decadenza:
Il verificarsi delle cause di decadenza relative al richiedente non impedisce il subentro nel beneficio da parte di un soggetto diverso, qualora per quest’ultimo sussistano i presupposti di legge per accedere al premio alla data di presentazione della prima domanda. I termini previsti per il subentro sono fissati improrogabilmente entro 90 giorni dal verificarsi di una delle cause di decadenza sopra riportate.
La forma di agevolazione del bonus asilo nido spetta anche ai bimbi al di sotto dei 3 anni affetti da grave patologie che impediscono di frequentare l’asilo e necessitano di assistenza domiciliare. Tale premio, è erogato dall’INPS in unica soluzione, previa presentazione da parte dei genitori del bambino, dell’apposito modulo domanda corredata dal certificato rilasciato dal pediatra, scelto liberamente, che attesti per tutto il 2018 “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica”.
La domanda può essere presentata dal genitore di un minore nato o adottato dal 1° gennaio 2016 in possesso dei seguenti requisiti (circolare INPS 22 maggio 2017, n. 88):
Tutti i requisiti devono essere posseduti alla data di presentazione della domanda.
In caso di adozioni o affidamenti preadottivi verrà presa in considerazione la data più favorevole tra il provvedimento di adozione e la data di ingresso in famiglia del minore, purché successivo al 1° gennaio 2016.
Per rispondere a questa domanda, facciamo affidamento alle indicazioni fornite dalla circolare Inps n.88 del 22 maggio 2017:
a partire dal 2017, le domande possono essere presentate entro il 31 dicembre di ciascun anno e i bonus verranno erogati fino al raggiungimento del limite massimo complessivo previsto (144 milioni di euro per l’anno 2017, 250 milioni di euro per l’anno 2018, 300 milioni di euro per l’anno 2019 e 330 milioni di euro annui a decorrere dal 2020) secondo l’ordine di presentazione telematica delle richieste.
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]]>Si tratta di una forma di sostegno economico per affrontare le prime spese del futuro nato. Il bonus mamma domani, chiamato anche premio alla nascita, non è l’unico contributo rivolto alle mamme e alle famiglie presente nella Manovra. Oltre a questa agevolazione, ne sono state previste altre, come il nuovo bonus nido e i voucher baby sitter. Vediamo, anzitutto, come funziona il bonus mamma domani Inps e come presentare domanda. Partiamo dalla premessa che il Bonus mamma domani non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del Testo Unico delle imposte sui redditi.
Il bonus mamma domani è una forma di sostegno economico rivolta alle donne in gravidanza o alle madri. Si può richiedere qualora si sia verificato uno di questi eventi dal 1° gennaio 2017:
Il beneficio è concesso in un’unica soluzione per ogni evento (gravidanza, parto, adozione o affidamento) e in relazione a ogni figlio nato, adottato o affidato.
L’importo dell’assegno è di 800 euro.
Le modalità di pagamento previste sono:
Per tutti i pagamenti, eccetto bonifico domiciliato presso ufficio postale, è richiesto il codice IBAN.
In caso di richiesta di accreditamento su coordinate IBAN è necessario inviare il modello SR163 online all’INPS attraverso il servizio dedicato.
Ecco quali sono i requisiti per poter richiedere il Bonus mamma domani 2018.
La domanda deve essere presentata dopo il compimento del settimo mese di gravidanza e comunque, improrogabilmente entro un anno dal verificarsi dell’evento (sia esso nascita, adozione o affidamento). Soltanto per gli eventi verificatisi dal 1° gennaio 2017 al 4 maggio 2017, data di rilascio della procedura telematizzata di acquisizione, il termine di un anno per la presentazione della domanda online decorre dal 4 maggio.
La domanda può essere presentata online, attraverso il portale INPS con il PIN attraverso il servizio dedicato, o, in alternativa, attraverso contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile, o presso enti di patronato e intermediari dell’Istituto attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi. Se si sceglie di inviare la domanda online attraverso il servizio dedicato è possibile scaricare dal menu il manuale utente che descrive le funzionalità disponibili e la guida l’utente nella compilazione della domanda.
La domanda va presentata dopo il compimento del settimo mese di gravidanza e deve essere accompagnata della certificazione sanitaria rilasciata dal medico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) attestante la data presunta del parto. Se è stata già presentata la domanda in relazione al compimento del settimo mese di gravidanza non si dovrà presentare ulteriore domanda alla nascita. Analogamente, il beneficio richiesto per l’affidamento preadottivo non può essere richiesto in occasione della successiva adozione dello stesso minore.
Nel caso si tratti di parto plurimo, la domanda se già presentata al compimento del settimo mese di gravidanza andrà presentata anche alla nascita con l’inserimento delle informazioni di tutti i minori necessarie per l’integrazione del premio già richiesto, rispetto al numero dei nati.
La domanda può essere presentata anche nell’ipotesi in cui la richiedente, pur avendo maturato i sette mesi di gravidanza alla data del 1 gennaio 2017, non abbia portato a termine la gravidanza a causa di un’interruzione della stessa. In questo caso, la domanda dovrà essere corredata della documentazione comprovante l’evento.
Nel caso in cui la domanda debba essere presentata da un legale rappresentante, questi dovrà essere in possesso del PIN della richiedente per effettuare l’accesso al sistema con i dati identificativi dell’interessata.
I documenti necessari per presentare domanda:
Certificazione dello stato di gravidanza
La richiedente dovrà indicare alternativamente una delle seguenti opzioni:
Si precisa che nella domanda vengono autocertificati gli altri requisiti che danno titolo alla concessione del premio salvo che la beneficiaria non sia tenuta a comprovare i requisiti sulla base di specifica documentazione:
Rimane ferma la possibilità di autocertificare la data di trascrizione del provvedimento e il comune nei cui registri di stato civile il provvedimento stesso è stato trascritto. Per ulteriori informazioni, potete consultare il sito dell’Inps.
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]]>L'articolo Rosolia: contagio sintomi e cura proviene da MammeUp.
]]>La rosolia la si può contrarre una sola volta nella vita, come per il morbillo o la varicella e, al quel punto, si diventa immuni.
I primi segnali sono solitamente: una lieve febbre, rigonfiamento doloroso delle linfoghiandole dietro il collo, eruzione cutanea rossastra diffusa sulla tutta pelle che dura poco tempo. L’esantema è molto simile a quello del morbillo, ma è decisamente meno evidente. La sua diffusione parte dal viso, poi interessa il collo sino ad invadere anche il tronco, braccia e gambe. Anche la lingua rimane interessata dalla presenza dell’esantema che dapprima comincia a svilupparsi con macchioline rosse che poi si fondono sino diventare un’unica macchia intera. In generale rispetto al morbillo è una malattia che comporta uno stato di malessere molto più lieve e, a fare la differenza, è anche l’assenza di tosse o rinite. Potrebbe comparire anche la febbre, ma lieve.
La rosolia è una malattia che preoccupa molto le mamme specie quando il bambino è troppo piccolo.
Solitamente si contrae in età infantile, tra i 5 e i 14 anni, ma è possibile anche esserne colpiti durante l’età adulta. Tutto cambia quando a contrarla è una donne in dolce attesa. In questo caso la malattia potrebbe comportare gravi danni al feto – in particolare nelle prime settimane, aborto spontaneo e morte intrauterina, oppure causare la nascita di feti privi di vita o con difetti congeniti. È possibile valutare l’immunità della mamma con il rubeotest che verifica la presenza o meno della stessa.
La rosolia si contagia tramite le goccioline respiratorie presenti nell’aria e che si disperdono attraverso uno starnuto o venendo a contatto con le secrezioni provenienti da naso e bocca del soggetto infetto.Il periodo di incubazione dura due – tre settimane prima della comparsa dei primi sintomi ed il soggetto è da ritenersi capace di trasmettere la malattia, dalla settimana precedente la comparsa dell’eruzione rossastra sulla pelle, sino a circa 4 giorni successivi al verificarsi del fenomeno.Se è un neonato affetto da sindrome congenita – che ha contratto la malattia in gravidanza – lui diventa un soggetto infetto per lunghi periodi. Il virus, infatti, può essere trasmesso anche due mesi dopo la nascita o, addirittura, anche dopo più di un anno.
Anche la rosolia non presenta una cura specifica, come le altre malattie esantematiche e non esistono farmaci mirati al problema. Bisogna aspettare che la malattia faccia il suo decorso, al massimo, qualora si verificasse la presenza di febbre alta – caso eccezionale perché la rosolia comporta solo febbre lieve – abbassarla con l’utilizzo del paracetamolo.
Esiste il vaccino trivalente contro morbillo-rosolia-paraotite che serve come cura preventiva per combattere la malattia. Le dosi consigliate sono: una tra i 12 e i 15 mesi e l’altra dose di richiamo verso i 5-6 anni
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]]>L'articolo Palline di Natale fai da te: idee per la decorazione dell’albero proviene da MammeUp.
]]>Capita, naturalmente, di essere un po’ a corto di idee, soprattutto quando si è fatto ricorso a più di una alternativa. Questo, però, non vi deve affatto scoraggiare: è per questo che oggi siamo qui! Per rendere davvero unica e speciale la propria casa durante la festività non c’è niente di meglio degli addobbi natalizi fai da te. E chi l’ha detto che possono essere solo ghirlande e candele? Sono davvero tante le palline di Natale fai da te che potete fare. Tutto quello che vi serve è la giusta manualità, naturalmente unita ad alcuni suggerimenti ad hoc. Il bello delle nostre proposte è che non bisogna essere per forza degli esperti: abbiamo raccolto delle proposte che possono andar bene per tutti.
Realizzando da sé le decorazioni, si avrà un oggetto che davvero si può sentire proprio, magari da regalare agli amici, senza spendere un patrimonio.
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]]>L'articolo Addobbi natalizi fai da te: idee per decorare la casa proviene da MammeUp.
]]>Ricreare un ambiente uguale a quelli che si vedono nelle riviste non è un’impresa impossibile, anzi! La buona notizia, tra l’altro, è che non serve neanche spendere troppo. Con i giusti suggerimenti, infatti, potrete creare degli addobbi natalizi fai da te che tutti vi invidieranno. Il do it yourself, ormai, spopola in ogni campo: manualità e creatività la fanno da padrone ed è davvero semplice dare vita a oggetti unici, che potrete anche regalare agli amici.
Per aiutarvi nella creazione degli addobbi natalizi, abbiamo pensato di suggerirvi alcune idee.
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]]>L'articolo Fecondazione assistita: tutto quello che c’è da sapere proviene da MammeUp.
]]>La fecondazione assistita, definita anche fecondazione artificiale, è quel processo attraverso il quale si attua l’unione dei gameti in modo artificiale, tramite l’osservazione al microscopio. Erroneamente si pensa che i concetti di fecondazione assistita e procreazione assistita siano gli stessi: il secondo ha un’accezione semantica molto più ampia (e include tutte le metodiche che permettono di aiutare gli individui a procreare, siano esse chirurgiche, ormonali, farmacologiche o di altri tipi).
Le coppie che non riescono ad avere un bambino trovano in questa tecnica una soluzione al loro problema. Fecondazione assistita cos’è? È l’insieme delle procedure che consentono di ottenere una gravidanza, dopo almeno un anno di rapporti sessuali liberi e non protetti. Esistono varie metodiche e diversi livelli di complessità, legati alla problematica della coppia che non riesce ad avere figli.
Si parla di fecondazione omologa quando il seme e l’ovulo utilizzati nella fecondazione assistita appartengono alla coppia di genitori del nascituro, che avrà quindi un patrimonio genetico ereditato dalle persone che intendono allevarlo. L’eterologa, invece, si verifica quando il seme o l’ovulo provengono da un soggetto esterno alla coppia. Esistono diverse banche del seme, nelle quali i donatori lasciano i propri campioni, utilizzati poi dalle coppie.
Fecondazione assistita come avviene? Esistono molteplici tecniche di fecondazione medicalmente assistita, con pratiche che possono essere racchiuse in due macro-categorie e cioè:
Le coppie che intendono seguire una di queste pratiche vengono seguite in tutte le fasi del programma, dal primo contatto per una consulenza, alla diagnostica, fino ai trattamenti.
Per quanto riguarda i benefici, tra questi rientra sicuramente il fatto di poter avere un bambino anche quando non è possibile in modo naturale. I rischi sono legati a eventuali pratiche di eugenetica e cioè al fatto che si possa cercare di avere dei bimbi “su misura”, con determinate caratteristiche. Può accadere, infatti, che anche coppie senza problemi di fertilità preferiscano ricorrere alla fecondazione con il seme di un terzo. In Italia, comunque, è vietato l’aborto eugenetico.
Argomento molto frequente è quello di fecondazione assistita costi. Nello specifico, si parla di differenze tra fecondazione assistita costi Italia e fecondazione assistita Spagna costi. In media, all’estero costa di meno,ma bisogna valutare caso per caso. Non si può generalizzare, ma possiamo dire che la tecnica più economica in Spagna è l’inseminazione artificiale.
La Spagna è una delle destinazioni privilegiate del cosiddetto turismo riproduttivo, poiché adotta una legge che consente la fecondazione assistita per le donne single, l’ovodonazione, l’embrio-donazione nonché l’anonimato dei donatori.
La fecondazione assistita in Italia è stata oggetto di un articolato dibattito, in particolare relativo all’uso di alcune tecniche, come la eterologa. Si è inoltre molto discusso di commercializzazione di embrioni, maternità surrogata, produzione di embrioni ai fini di ricerca o di sperimentazione. La legge 40 del 19 febbraio 2004 aveva vietato tali pratiche e nel 2005 si è tenuta una consultazione referendaria, con quattro referendum, per abrogarne alcuni punti, ma non si è raggiunto il quorum. Alcune decisioni della Corte Costituzionale, però, hanno dichiarato l’llegittimità degli elementi essenziali della legge 40: il giudice ha ritenuto incostituzionale il limite di produzione di tre embrioni nonché l’obbligo legislativo di “un unico e contemporaneo impianto”.
La Corte, dopo aver inizialmente respinto la questione di costituzionalità sul divieto di fecondazione eterologa, ritenendo tale scelta rientrare nel legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, ha in seguito dichiarato illegittimo tale divieto con la sentenza del 9 aprile 2014.
Difficile poter dire quale sia il miglior centro fecondazione assistita Italia. Il consiglio che possiamo dare ai futuri genitori che intendono provare questa tecnica è informarsi, contattare i diversi centri, consultare forum ed essere a conoscenza di tutto quello che questo percorso implica.
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]]>L'articolo Alcune idee per un presepe fai da te proviene da MammeUp.
]]>Realizzare il presepe è una di queste attività. Scegliere le statuine presepe, montare una piccola città, concentrarsi su alcuni dei personaggi: queste azioni, specie se fatte insieme ai bimbi, diventato un momento condiviso e speciale, che renderà l’arrivo del Natale ancora più bello. Per i più piccoli, infatti, sarà davvero soddisfacente vedere qualcosa che prende vita davanti ai loro occhi.
Per essere perfetto, il vostro presepe fai da te deve includere tutti gli elementi necessari:
A rendere ancora più bello il tutto potranno essere le vostre idee originali: lasciate sfogo alla vostra creatività e a quella dei vostri bimbi. Non limitateli se vi chiedono di inserire qualcuno dei loro giocattoli o un personaggio un po’ inusuale: sarà un modo per sentire la creazione ancora più sua.
Partite anzitutto da una bozza. Mettetevi comodi con carta e penna e disegnate (o fate disegnare ai bimbi) una bozza del paesaggio. Progettando sfondo, costruzioni e personaggi, sarà poi più facile fargli prendere vita: avrete, dunque, una utile guida e una panoramica di riferimento. Il passo successivo è individuare il punto della casa in cui volete montare il presepe: scegliete un punto che vi consenta di mostrare con orgoglio il vostro risultato, ma che non sia troppo di passaggio: meglio evitare di doverlo sistemare troppo spesso!
Acquistate (o fate disegnare ai bimbi) lo sfondo: un bel cielo stellato di colore blu scuro, con stelline adesive o fatte a mano, di colore oro o argento. Passate dunque alla struttura: posizionate scatole e scatolini ricreando le montagne e ricoprite il tutto con l’apposita carta già pronta o, anche in questo caso, disegnata da voi. Gli scatolini vanno fissati bene, perché altrimenti tenderanno a muoversi. Per essere realistico, il vostro presepe deve curare ogni dettagli.
Nelle montagne, potete ricavare la grotta, entro la quale posizionare la vostra natività. Non dimenticate ruscelli e corsi d’acqua, oltre a vari tipi di piante. Una volta che avete sistemato lo sfondo e le costruzioni, è la volta di occuparvi delle statuine presepe. Come abbiamo già anticipato, non limitate la creatività dei bambini, che potrebbero avere voglia di includere uno dei loro giochi o un personaggio che gli sta particolarmente a cuore. Non vanno dimenticati, inoltre, gli animali: soprattutto i più piccoli, troveranno divertentissimo piazzarli in mezzo a protagonisti ed edifici. A completare ulteriormente la vostra creazione ci penseranno le luci, che dovrete però piazzare proprio all’ultimo. Il consiglio è non prendere delle luci troppo “invasive” o vistose, che potrebbero distogliere l’attenzione o diventare troppo ingombranti. Occhio, inoltre, al posizionamento dei cavi: qualora risulti troppo difficile far passare i fili fino alla presa, potete anche farne a meno. Le luci da utilizzare per il presepe possono benissimo essere le stesse dell’albero di Natale: da quelle di colore bianco, a quelle tutte colorate con effetti particolari, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Come abbiamo ripetuto più volte, a guidarvi nella realizzazione del vostro presepe personalizzato deve essere anzitutto la creatività. Qualcuno, a ulteriore completamento del suo piccolo capolavoro, utilizza anche la neve spray, cercando di dare un effetto ancora più realistico. Non dimenticate, ovviamente di far arrivare anche i Re Magi!
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]]>L'articolo Impetigine, cause e rimedi proviene da MammeUp.
]]>Si tratta di un’infezione provocata da germi piogeni. Una variante meno frequente è la cosiddetta impetigine bollosa, che si caratterizza per la comparsa di vescicole e bolle a contenuto sieroso e purulento.
L’impetigine bollosa colpisce soprattutto la prima infanzia e rappresenta il 20% dei casi totali d’impetigine. Una delle caratteristiche principali dell’impetigine, che la distingue da altre patologie, è la sua contagiosità: il contagio avviene prevalentemente per via interumana diretta ed indiretta.
Le cause dell’impentigine sono da riscontrarsi nei batteri stafilococchi o streptococchi. Circa l’80% dei casi è attribuibile allo Staphylococcus aureus, che provoca soprattutto impetigine bollosa (tramite la tossina esfoliativa) e, talvolta, non bollosa; il secondo patogeno più frequentemente implicato è lo Streptococcus pyogenes (Streptococco beta-emolitico di gruppo A), che viene coinvolto soprattutto nella patogenesi della forma non bollosa. Il periodo di incubazione dell’impentigine è compreso tra i 2 e i 10 giorni.
Come si prende l’impentigine? Il contagio è molto facile e può avvenire sia per contatto diretto, cioè con un bambino o un adulto infetto, sia per contatto indiretto, cioè con un oggetto che è stato a contatto con il malato.
L’impetigine bollosa si manifesta con la comparsa di bolle dal bordo ben definito e piene di siero, che tendono a rapprendersi come croste di colore marrone chiaro. La forma bollosa è più frequente nei bambini dai 2 ai 5 anni e può manifestarsi tra le dita, nelle pieghe di collo e ascelle, nell’area a contatto con il pannolino.
Sono proprio i bambini i più colpiti da questa malattia, che può comunque manifestarsi a qualsiasi età. La comparsa di chiazze, bolle pruriginose o croste sulla pelle, soprattutto su viso, braccia e gambe, possono essere un segnale evidente della malattia. Le manifestazioni cutanee tendono a estendersi sul corpo, associate anche a febbre e senso di malessere diffuso.
Per quanto riguarda l’impetigine negli adulti, sono soprattutto i soggetti immunodepressi e quelli diabetici a sviluppare questa malattia, che può assumere un carattere più grave sotto forma di ectina, una lesione più profonda della pelle, che può lasciare cicatrici.
L’impetigine in gravidanza si presenta con vesciche e piaghe. I sintomi possono colpire tutto il corpo. Se riconosciuta in tempo e curata a dovere, non lascia alcuna traccia e non ha conseguenze sulla salute del bambino. Se trascurata, può provocare l’ispessimento delle croste, la diffusione delle vesciche della pelle e la degenerazione in infezioni più profonde. La terapia, che comprende disinfettanti e antibiotici, non ha di norma controindicazioni particolari.
Il trattamento consiste nell’utilizzo di impacchi antisettici e della successiva rimozione di ogni crosta, associati alla somministrazione di antibiotici topici o orali come macrolidi e cefalosporine.
Per quanto possibile, le federe, i tovaglioli e gli asciugamani utilizzati dal bambino affetto devono essere usati separatamente e disinfettati. Si raccomanda inoltre il taglio delle unghie e la copertura delle lesioni, ove possibile, con una garza. L’impetigine è molto contagiosa.
È possibile utilizzare trattamenti alternativi per l’impetigine, ma tali dovranno essere seguiti esclusivamente in aggiunta ad un trattamento antibiotico. L’olio essenziale di albero del tè miscelato all’olio essenziale di lavanda e olio vegetale di mandorla dolce è una lozione antisettica e cicatrizzante molto efficace. Da valutare, comunque, l’elevata comprovata sensibilità a queste piante.
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]]>L'articolo Quinta malattia: sintomi e rimedi proviene da MammeUp.
]]>Anche questa è una malattia esantematica e si chiama così perché le varie malattie esantematiche sono state classificate con un ordine numerico e all’eritema infettivo è stato assegnato il quinto posto, dopo morbillo, scarlattina, rosolia e la cosiddetta scarlattina atipica o ‘scarlattinetta’.
I sintomi sono più o meno gli stessi delle altre malattia esantematiche. Può iniziare con una febbre lieve, mal di testa e sintomi influenzali che poi svaniscono per lasciare il posto a una caratteristica eruzione cutanea in primis nelle guance, che diventano molto rosse, per questo si chiama anche malattia delle guance rosse o schiaffeggiate. Nei giorni successivi l’esantema si estende anche su tronco, braccia, e gambe ed è più visibile se la pelle viene esposta al sole, al caldo eccessivo o al freddo intenso. In alcuni casi, soprattutto negli adulti e negli adolescenti, un attacco di quinta malattia può essere seguita da gonfiore o dolore, spesso alle mani, ai polsi, alle ginocchia o alle caviglie.
Si contrae prevalentemente dai 4-5 anni fino all’adolescenza solitamente il periodo nel quale si contrae è metà inverno sino a metà primavera. È una malattia molto diffusa: circa la metà della popolazione ha già gli anticorpi, quindi è protetta. In alcuni bambini, 7-10 giorni prima della comparsa della ‘faccia da schiaffi’, si possono manifestare sintomi simil-influenzali, come febbricola, lieve malessere generale, dolori muscolari , naso che cola, mal di testa.La quinta malattia anche se è una malattia fastidiosa è benigna, bisogna solamente avere molta pazienza. Solitamente tutti i sintomi scompaiono entro una decina di giorni, ma talvolta l’eruzione può trascinarsi per 2-3 settimane, specie se la pelle è esposta a sole, freddo intenso o calore o si compiono sforzi fisici.
La quinta malattia è comune specialmente nei ragazzi di età compresa tra i 5 e i 15 anni, ma può essere contratta anche dagli adulti. I sintomi sono sempre gli stessi che svaniscono non appena la malattia ha fatto il suo corso. La manifestazione di colore rosso acceso appare prima sul viso, alcuni giorni più tardi si diffonde con un colore rosso, di solito più leggero, e si estende al tronco, alle braccia, e alle gambe. La quinta malattia si diffonde facilmente da persona a persona con i fluidi provenienti da naso, bocca e gola, in particolare attraverso le goccioline che provengono da tosse e starnuti.
Le cose cambiano per chi è in gravidanza perché l’infezione da parvovirus B19 può causare problemi al feto. La malattia è tipicamente innocua, ma se viene contratta durante la gravidanza può portare ad aborto o a morte in utero. Inoltre sono più a rischio persone che abbiano disturbi del sistema immunitario o malattie del sangue.
La quinta malattia non richiede terapia specifica né esami diagnostici, vista la mancanza di complicazioni e la sua assoluta benignità. Come sempre in questi casi si possono però curare i sintomi, per alleviare il fastidio, per esempio assumendo antifebbrili o antistaminici contro un eventuale prurito. Non c’è vaccino per la quinta malattia e non c’è nessun modo sicuro per prevenire il diffondersi del virus. Isolare chi presenta l’eruzione della quinta malattia non previene il diffondersi dell’infezione, perché la persona di solito non è contagiosa in quel lasso di tempo.
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]]>L'articolo Fecondazione in vitro: cosa c’è da sapere proviene da MammeUp.
]]>Una volta fecondato, l’ovulo diventa pre-embrione e viene posto nell’utero per prelevare lo sviluppo. La tecnica fu sviluppata nel Regno Unito da Patrick Steptoe e Robert Edwards, e per la quale Edwards ha ottenuto il Premio Nobel per la medicina nel 2010. Il primo essere umano nato da questa tecnica fu la piccola Louise Brown, nata a Londra il 25 luglio 1978.
Vediamo insieme nello specifico fecondazione in vitro cos’è, suddividendola in diverse fasi. Per la fecondazione in vitro è auspicabile ottenere più di un ovulo, quindi è necessario stimolare le ovaie con ormoni per ottenere più ovuli maturi contemporaneamente.
Abbiamo suddiviso il procedimento in fasi. Ecco la fecondazione in vitro come avviene:
Per quanto riguarda fecondazione in vitro costi, nei centri privati si possono anche superare i 10mila euro (si parte dai 2mila per l’omologa e dai 4mila per l’eterologa e si va a salire).
Per quanto riguarda l’argomento fecondazione in vitro rischi, è abbastanza raro che sorgano serie complicanze durante un ciclo, ma è comunque una procedura medico-chirurgica complessa e sono sempre possibili rischi e problemi. A preoccupare è il ricorso ai farmaci per la stimolazione ovarica, ma al momento non esistono certezze su una correlazione tra questo utilizzo e un aumento dei rischio di cancro alle ovaie, al seno o all’utero.
Nelle donne che si sottopongono alla Fivet si registra un aumento delle gravidanze ectopiche, cioè di gravidanze in cui l’embrione si impianta al di fuori dell’utero e in particolare in una tuba. Va sempre considerato che anche le procedure chirurgiche eseguite durante la fecondazione in vitro comportano rischi (come lesioni alla vescica, all’intestino, a vasi sanguigni e infezioni di vario grado), nonché possibili complicazioni dovute all’anestesia.
Per la fecondazione in vitro in Italia si può ricorrere sia a strutture pubbliche che private. Ovviamente cambieranno i costi, così come i tempi di attesa. Sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità è possibile consultare il registro dei centri di Pma (procreazione medicalmente assistita).
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]]>L'articolo Varicella: sintomi, vaccino e cura proviene da MammeUp.
]]>La varicella tra tutte le malattie esantematiche che colpiscono i bambini e quella che più facilmente si riconosce. Dopo un’incubazione piuttosto lunga (quattordici-ventun giorni) e un breve periodo (non sempre presente) di malessere diffuso come febbre variabile, compare l’esantema tipico della malattia che dà molto prurito ed è costituito da macchioline rosse al cui centro, nel corso di qualche ora, si forma una raccolta di liquido chiaro. Quando il liquido si intorbidisce, le vescicole si trasformano in pustole che nella fase conclusiva, seccandosi, diventano croste. I primi quattro giorni l’esantema si diffonde in tutto il corpo: inizialmente sul cuoio capelluto, sul volto e sul torace; poi si estende al ventre, ai genitali, alle braccia e alle gambe e dura circa sei giorni, in seguito le croste cominciano a cadere.Dopo l’eruzione si blocca e le vescicole presenti si essiccano gradualmente per staccarsi in modo spontaneo nel giro di circa sei giorni. Le croste, cadendo, potrebbero lasciare delle zone chiare sulla pelle del bambino o, nel caso si sia grattato molto, piccole cicatrici, ma sia l’uno che l’altro andranno via con un po’ di tempo. L’esantema della varicella è una macchiolina rossa, lievemente rilevata, del diametro di due-tre millimetri che si trasforma in vescicola contenente un liquido simile alla lacrima, per poi trasformarsi, quando il liquido si infetta e si intorbidsce, in pustola e, infine, in crosta.
Non esiste una cura specifica contro la varicella, ma solo, eventualmente, i farmaci in grado di attenuarne i sintomi. Quelli sopratutto per ridurre il prurito, in genere molto fastidioso, che sono degli antistaminici. Se la febbre è troppo alta si può dare al bambino un antifebbrile a base di paracetamolo. In alcuni casi viene utilizzato un farmaco antivirale specifico, l’aciclovyr. La cura va iniziata dal primo giorno di malattia, cioè alla comparsa dell’esantema: attenua i sintomi e riduce la durata della malattia. Per questo è consigliata soprattutto quando la varicella può determinare complicazioni più serie, come nei neonati e negli adulti.
La varicella è una delle malattie più comuni tra i bambini, ma può essere contratta anche in gravidanza. Questa è causata da un virus chiamato varicella-Zoster. Una volta contratta, lascia un’immunità permanente. La varicella non è una patologia importante, tanto che non dà particolari problemi al paziente. Le cose cambiano, però, quando si è in gravidanza. Innanzitutto, se la mamma si ammala, non è detto che il virus passi anche al feto: si calcola che questo avviene solo nel 17% dei casi. I problemi maggiori si possono avere se si prende la varicella in gravidanza nel primo trimestre, quando gli organi dell’embrione sono ancora in via di formazione: se anche il bambino si infetta, c’è un 7% di probabilità che alla nascita possa manifestare la cosiddetta sindrome da varicella congenita, caratterizzata da lesioni cutanee con cicatrici, atrofia muscolare, ipoplasia delle dita (cioè dita più piccole e corte rispetto alla norma) o lesioni cerebrali come encefaliti, che possono provocare ritardo mentale. Nei casi più gravi si può verificare anche l’aborto spontaneo
Il vaccino per la varicella va somministrato ai bambini in due diverse dosi. La prima va somministrata tra i 12 ed i 15 mesi di età, mentre la seconda molto più tardi, quando i bambini hanno 5-6 anni di età. Può anche essere somministrata prima, comunque sempre dopo almeno tre mesi dalla prima dose. Per evitare che la varicella colpisca gli adulti o i ragazzi dai 12 anni in su è possibile somministrare il vaccino anche a questi, a patto che non abbiano mai avuto la malattia, neppure in forma lieve. Anche in questo caso il vaccino è in due dosi, da inoculare ad almeno 28 giorni di distanza l’una dall’altra. Questo tipo di vaccino può essere somministrato insieme a quelli per altre patologie. Ne sono un esempio l’MPRV, che immunizza sia da varicella che da morbillo, parotite e rosolia (MPR) e che va, in questo modo, a sostituire due diverse somministrazioni nei bambini e nei dodicenni.
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]]>Come è facile intuire da questa introduzione, dunque, la differenza tra fecondazione eterologa e omologa risiede proprio nella provenienza dei gameti. Per il resto, si tratta in entrambi i casi di fecondazione assistita, cioè della fecondazione dell’ovulo femminile da parte degli spermatozoi al di fuori di un rapporto etero-sessuale.
La fecondazione eterologa è una tecnica di laboratorio che comporta la fecondazione degli ovuli di una donatrice con gli spermatozoi del partner di un’altra donna. Una volta fecondato, l’ovulo diventa pre-embrione e viene posto nell’utero, precedentemente preparato, per continuare lo sviluppo.
Fecoondazione eterologa cos’è: questo tipo di fecondazione in vitro è consigliata quando si hanno problemi alle ovaie (che potrebbero non produrre ovuli o produrre ovuli di scarsa qualità). Si ricorre alla fecondazione eterologa anche quando si soffre di qualche malattia genetica, di una anomalia cromosomica o se si soffre di una qualche malattia che abbia come controindicazione la stimolazione ovarica. In generale, viene consigliata anche dopo diversi tentativi falliti di fecondazione omologa o se si hanno più di 43 anni, perché a questa età la percentuale di gravidanze scende in modo notevole o, nel caso in cui si verifichi una gravidanza, c’è una possibilità più elevata di aborti o anomalie cromosomiche fetali.
Possiamo suddividere lo svolgimento della fecondazione eterologa in quattro fasi:
Le tecniche utilizzate per la fecondazione eterologa sono tre:
Un capitolo a parte merita l’argomento fecondazione eterologa Italia. Si tratta, infatti, di una materia molto delicata, spesso al centro di accesi dibattiti. Fino al 2004, nel nostro Paese era possibile accedere alla fecondazione eterologa, purché il donatore fosse anonimo e la donazione di ovuli o spermatozoi non prevedesse un corrispettivo in denaro. Nel riordino della normativa, sfociata nella legge 40, si è deciso di vietare il ricordo alla eterologa, considerata preludio a pratiche di eugenetica, cioè di selezione dei gameti per ottenere bimbi “su misura”.
Fu imposto un Referendum per abrogare la normatica, ma non si raggiunse il quorum e la legge rimase in vigore. Nel 2015, però, la Corte Costituzionale dichiarò con una sentenza incostituzionale il diviedto di fecondazione eterologa, aprendo di fatto le porte all’utilizzo di questa tecnica in Italia. Per poterla effettuare, bisogna rivolgersi a un centro specializzato e mettersi in lista d’attesa.
Argomento sicuramente molto delicato è quello della fecondazione eterologa costi. Per quanto riguarda le cliniche private il prezzo si aggira in media sui 5mila euro, ma ovviamente questo può variare da una struttura all’altra. Adesso, anche le strutture pubbliche si sono adeguate per offrire questo trattamento, ma il prezzo del ticket varia da regione a regione, quindi bisogna informarsi caso per caso.
Per comprendere le differenze tra fecondazione eterologa e omologa, vi forniamo un veloce e semplice quadro riassuntivo:
Naturalmente, solo nel caso di fecondazione assistita omologa il nasciuto presenterà il patrimonio genetico dei genitori.
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]]>La bronchite è una tra le più frequenti malattie dell’apparato respiratorio. Si tratta di un’infiammazione delle mucose dei bronchi.
Il termine “bronchite” indica due categorie, denominate rispettivamente bronchite acuta e bronchite cronica.Nel primo caso si ha generalmente a che fare con un episodio isolato, nel secondo con una sintomatologia che è presente per almeno tre mesi all’anno da almeno due anni.
Il sintomo più importante della bronchite è la tosse. Inizialmente secca, evolve con produzione di catarro e si intensifica quando ci si sdraia, al freddo e in presenza di sostanze irritanti come il fumo di sigaretta.
Di solito provoca anche dolore, la sensazione di compressione al petto e fiato corto. Si accompagna a malessere generale, brividi, senso di affaticamento e debolezza, scarso appetito e febbre moderata.
Si associa spesso a sinusite, faringite o laringite e all’abbassamento della voce.
La bronchite acuta è contagiosa solo se di origine virale/batterica e normalmente prevede un decorso che va da un minimo di pochi giorni a un massimo di una decina di giorni.
Al contrario la bronchite acuta causata da agenti irritanti e la bronchite cronica non sono contagiose, a meno che non sopraggiungano complicanze di origine batterica o virale. La bronchite cronica, in quanto tale, non ha una durata tipica o prevedibile.
La bronchite è una delle infiammazioni più frequenti nella popolazione generale che colpisce l’albero tracheobronchiale e colpisce le mucose del tratto respiratorio, compresi i bronchi infiammati.
La bronchite ostacola la respirazione e deve essere affrontata immediatamente in particolare se l persona colpita è una donna incinta. Se vengono riscontrati dei problemi a respirare, tosse con muco persistente e malessere generale, è consigliabile recarsi dal proprio medico quanto prima. Inoltre i farmaci in gravidanza vanno usati il meno possibile ma nei casi in cui è strettamente necessario è importante avere le giuste indicazioni per fronteggiare la malattia ed evitare che si aggravi.
La bronchite colpisce anche i bambini è l’infiammazione con edema e irritazione delle vie respiratorie. Nei bambini è un’infiammazione dei bronchi, che molto spesso è legata ad altre infiammazioni come raffreddore, laringite o tracheite. In genere, compare in concomitanza ad altre patologie passeggere.
Questa irritazione solitamente causa tosse o difficoltà a respirare, la forma acuta dura in media 2 – 3 settimane. La causa più frequente è un’infezione virale, ma può essere anche di natura batterica. Il rischio di manifestare una bronchite acuta è aumentata dall’esposizione all’aria inquinata, al fumo di sigaretta, la compresenza di asma e/o allergie, la prematurità può essere un rischio maggiore per manifestare la bronchite.
Ai bambini sono consigliati i farmaci anti infiammatori, come l’ibuprofene, che aiutano a diminuire l’infiammazione, il dolore e la febbre. Per la tosse diversi sono i prodotti che il pediatra può consigliare che aiutano a ridurre anche il muco. Chiaramente il riposo aiuta il bimbo a migliorare. E’ utile la pompetta aspira muco che elimina il muco dal naso del bambino così come, sempre per il muco le acque saline da spruzzare nel naso del bambino se il muco è denso Fate bere al bimbo liquidi, per favorire la fluidità del muco e a mantenere umidi i passaggi dell’aria nel naso e nella gola, migliorando così anche la tosse.
Se volete curare la bronchite con rimedi naturali consultate prima il vostro medico che vi dirà see potrete associare alla cura allopatica anche quella omeopatica. Ecco alcuni rimedi:
Una tisana di Altea in caso di tosse secca che vede aumentata l’efficacia se assunta con liquirizia e/o anice. Il Timo, ottimo espettorante e antibatterico è presente in molti sciroppi o integratori per la tosse. Può essere assunto in infusi, utilizzato per fare suffumigi con acqua bollente e timo per calmare la tosse, poi l’infuso di Poligala ha azione espettorante ed antinfiammatorio rigorosamente addolcite con buon miele.
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]]>Una volta contratta l’infezione, il Citomegalovirus rimane latente all’interno dell’organismo per tutta la vita, riattivandosi in caso di indebolimento del sistema immunitario.
Il citomegalovirus è un virus molto comune, appartenente alla famiglia degli herpes virus. Nelle persone che godono di buona salute il citomegalovirus è responsabile di infezioni asintomatiche, a risoluzione spontanea e prive di conseguenze nel lungo termine.
Invece, qualora ad essere colpiti da tale virus fossero donne incinta e persone con un sistema immunitario inefficiente (malati di AIDS o persone che hanno appena effettuato un trapianto di organi), le conseguenze potrebbero essere gravi, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso.
I sintomi del citomegalovirus non sono evidenti tanto che è possibile, in alcuni casi, non accorgersi dell’infezione. Solo alcuni soggetti sviluppano una leggera forma di malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi.
Per quanto riguarda invece il contagio, l’uomo è l’unico serbatoio di infezione da Cmv e la trasmissione avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo (come sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte). Il contagio avviene per contatto persona-persona, per trasmissione madre-feto durante la gravidanza o madre-figlio durante l’allattamento, per trasfusioni e trapianti di organi infetti.
Le infezioni congenite da Cmv avvengono per trasmissione verticale da mamma a feto. Sebbene non sia ancora stata dimostrata una correlazione tra il contagio e i danni riportati dal bambino, si può affermare che il primo trimestre di gravidanza è quello più pericoloso. Per questo motivo si consiglia di effettuare un’amniocentesi nel momento in cui gli esami effettuati dalla mamma riscontrassero il contagio.
L’85-90% dei neonati con infezione congenita è asintomatico. Solo il 10% circa dei neonati è sintomatico, presentando quindi sintomi che accertano la contrazione del citomegalovirus. Possiamo distinguere tra sintomi temporanei o permanenti. Tra quelli temporanei ci sono problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie (cioè chiazze rosse sulla pelle corrispondenti a piccolissime emorragie), piccole dimensioni alla nascita e convulsioni.
I sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme di invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte. In alcuni bambini i sintomi compaiono mesi o anni dopo la nascita, e in questi casi i più comuni sono la perdita dell’udito e della vista. La comparsa di disabilità permanenti è più probabile nei bambini che mostrano i sintomi già dalla nascita.
Per sapere se si è già contratto il CMV basta fare un esame del sangue, che ricerca la presenza degli anticorpi specifici (detti immunoglobuline) contro il virus. In particolare, si cercano due tipi di immunoglobuline: IgM e IgG.
Citomegalovirus IgG positivo in gravidanza. La rilevazione di anticorpi IgG contro il Cmv su un campione di sangue indica un contatto con il virus, ma non è in grado di determinare il periodo del contagio (cioè se l’infezione è in atto o risale al passato), molto utile in caso di gravidanza, né l’eventuale trasmissione del virus al feto. In questi casi, bisognerà affidarsi al test di avidità, in grado di determinare con approssimazione quando si è venuti a contatto con il virus. Nel caso in cui prima della gravidanza questo test risulti negativo, è importante che la donna presti particolare attenzione alle misure utili a evitare il contagio.
Per determinare la trasmissione del virus al feto in modo certo, sono necessari esami più invasivi, come l’amniocentesi o l’analisi del sangue fetale.
L’unico metodo per evitare o prevenire il contagio con tale virus è l’igiene, in quanto non esistono farmaci o trattamenti sicuri. Il nostro consiglio è quello di seguire queste poche norme di igiene, soprattutto se si è a contatto con dei bambini (il veicolo principale per la trasmissione di questo virus):
Una volta contagiato il citomegalovirus rimane latente nell’organismo, per tutta la vita, riattivandosi in caso di indebolimento del sistema immunitario. Tuttavia, vi sono possibili cure per le donne in gravidanza e per i bambini appena nati.
Una volta accertato il contagio del virus da parte della futura mamma è possibile procedere con la somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa con cadenza mensile al fine di ridurre la possibilità di trasmissione al feto.
Nel caso in cui la trasmissione sia già avvenuta, si procede alla somministrazione delle immunoglobuline direttamente al feto, in modo che possano contrastare l’attività del virus ed impedire la comparsa di problemi gravi.
La terapia post-natale per inibire il virus prevede la somministrazione di ganciclovir, una molecola ad attività antivirale. Tuttavia, qualora i danni fetali siano molto gravi, la terapia antivirale potrebbe non essere in grado di consentire un buon sviluppo psicomotorio o evitare la sordità.
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]]>Il periodo di incubazione riportato in letteratura è compreso in un intervallo di 9-20 giorni, con un valore mediano di circa 13 giorni. I segni e sintomi iniziali di solito includono febbre, spesso superiore a 40 °C, tosse, naso che cola, starnuti e occhi rossi che lacrimano, palpebre gonfie o infiammate, sensibilità alla luce. Due o tre giorni dopo l’inizio dei sintomi, piccole macchie bianche possono formarsi all’interno della bocca, note come macchie di Köplik. E poi ancora dolore diffuso, perdita di appetito, stanchezza, irritabilità. Il sintomo più evidente è un rash cutaneo rosso e che di solito inizia sul viso e poi si diffonde al resto del corpo, esordisce tipicamente da tre a cinque giorni dopo l’inizio dei sintomi. I sintomi si sviluppano solitamente in 10-12 giorni dopo l’esposizione ad una persona infetta e si protraggono per 7-10 giorni. Le complicanze si verificano in circa il 30% dei casi, nei bambini inferiori a 5 anni di vita, e possono includere, tra le altre, diarrea, otite , polmonite, encefalite .
Non esiste alcun trattamento medico specifico per il morbillo, per cui in genere l’approccio si limita alla gestione dei sintomi attraverso: il riposo, abbondante idratazione e farmaci sintomatici. La febbre e il dolore vengono in genere trattati con paracetamolo o ibuprofene. Al di sotto dei 16 anni va evitata l’aspirina per il rischio di sviluppo della sindrome di Reye. I bambini con il morbillo devono essere seguiti con molta attenzione, per evitare gravi complicazioni come: l’otite media, la laringite, la diarrea, la polmonite, l’encefalite, che possono richiedere l’ospedalizzazione o l’uso di antibiotici.
I neonati sono generalmente protetti dalla eventualità di contrarre il morbillo per 6 mesi dopo la nascita. Questa immunità viene trasmessa dalle madri, se vaccinate o se immunizzate dalla malattia fatta in passato.
A parte evitare contatti con pazienti affetti dall’infezione, il vaccino è lo strumento di maggiore prevenzione. La vaccinazione contro il morbillo, effettuata con due dosi, ha un’efficacia del 98 – 99 % e l’immunità dura tutta la vita.
Il vaccino per il morbillo è entrato nella lista di quelli obbligatori nel giugno del 2017. Questo fa parte della vaccinazione morbillo-parotite–rosolia (MMR) o della vaccinazione morbillo-parotite-rosolia-varicella (MMRV) e viene somministrato dai 13 ai 15 mesi di età e di nuovo dai 4 ai 6 anni di età (la seconda dose è ritenuta indispensabile per il raggiungimento e il mantenimento di un’immunizzazione ottimale). I bambini che si sono ancora sottoposti alla prima dose di vaccino potrebbero essere suscettibili di contagio, un problema che potrebbe diventare molto grave a causa della diminuzione di adesioni alla vaccinazione. Il vaccino è efficace anche post-esposizione, a patto che venga somministrato entro 72 ore dal contatto.
Le reazioni avverse al vaccino sono molto rare. Alcuni bimbi manifestano una leggera febbre e dolore nel sito di iniezione, ma reazioni potenzialmente letali si verificano in meno di un caso per milione di vaccinazioni (<0,0001%), ossia in numero sensibilmente inferiore al rischio di morte a causa di complicazioni per l’infezione (0,02% nella migliore delle ipotesi).
Come con tutti i programmi di immunizzazione vi sono importanti eccezioni e circostanze particolari da considerare. Il vaccino contro il morbillo non deve essere somministrato alle donne in gravidanza o ai bambini con la tubercolosi, leucemia o altri tumori non curati, o persone il cui sistema immunitario è compromesso per qualsiasi motivo.Inoltre, il vaccino non dovrebbe essere somministrato ai bambini che hanno una storia di grave reazione allergica alla gelatina o all’antibiotico neomicina, in quanto sono a rischio di gravi reazioni al vaccino.
Il morbillo è una malattia esantematica, una delle più frequenti e conosciute. Solitamente si tratta di una malattia tipica dell’infanzia, ma che, con minore frequenza, può colpire anche i più “grandi”, gli adulti.
Per curare il morbillo anche in età adulta non rimane molto altro da fare se non avere pazienza. Solitamente, infatti, il morbillo guarisce spontaneamente, nell’arco di sei, sette giorni. Per tenere a bada i sintomi più fastidiosi, come la febbre o la tosse, si può ricorrere a rimedi specifici, a farmaci sintomatici, come il paracetamolo, per abbassare la temperatura corporea, aerosol e prodotti mucolitici per sedare la tosse. Utili, dietro consiglio medico, gli antistaminici per lenire il prurito in corrispondenza dell’esantema.
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]]>La misura sarà doppia se la famiglia in questione ha un Isee di meno di 7.000 euro l’anno. Per i nati nel 2018, l’assegno resta di 960 euro all’anno (80 mensili). Lo Stato sosterrà un costo di 165 milioni di euro per il primo anno, 295 per il 2019 e picchiata a 228,5 milioni a partire dal 2020. L’Inps dovrà monitorare l’erogazione del bonus bebè nonché le risorse necessarie sulla base delle richieste effettive. All’Istituto di previdenza sociale, poi, spetta l’obbligo di inviare le relative relazioni al ministero del Lavoro. Il ministero dell’Economia e delle Finanze dovrebbe riservarsi la facoltà di modificare gli importi del bonus e il valore dell’Isee necessario per accedere al beneficio economico.
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]]>Sesta malattia bambini: quando si parla di malattie dei bimbi, è normale che i genitori si allarmino un po’. Per questo motivo, abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza sull’argomento, vedendo insieme i diversi aspetti che caratterizzano la sesta malattia.
Sesta malattia contagio – Per poter parlare di sesta malattia sintomi, è bene prima spiegare come avviene il contagio. La trasmissione avviene per via rinofaringea, con starnuti o tosse, e penetra attraverso le vie aeree superiori o la congiuntiva. A causare la sesta malattia è l’Herpes Virus umano di tipo 6B (HHV6B). A proposito di sesta malattia incubazione, è utile sapere che il periodo di incubazione dura in media circa 9 giorni e che può andare dai 5 ai 15 giorni.
Passando ai sintomi, il periodo pre esantematico include:
Compare inoltre una linfoadenopatia diffusa alle catene occipitali, latero-cervicali e retroauricolari. A volte si manifesta anche una meningite di lieve entità ed è frequente il meningismo con tensione delle fontanelle e con possibili convulsioni febbrili.
Periodo esantematico: dopo 3-5 giorni si manifesta un esantema morbilli-rubeoliforme che interessa il tronco e il collo e si diffonde poi al viso e alle estremità, scomparendo rapidamente nell’arco di 24-48 ore senza desquamazione. Negli ultimi giorni della malattia si possono avere dolori muscolari e articolari.
Sesta malattia bambini: come abbiamo spiegato, stiamo parlando di una malattia che colpisce bimbi di età compresa tra i sei mesi e i due anni. Per quanto riguarda sesta malattia bambini sintomi, potete fare riferimento al precedente paragrafo, dove abbiamo approfondito i sintomi del periodo pre esantematico ed esantematico.
È raro, ma non impossibile che la sesta malattia colpisca anche soggetti diversi dai bimbi. Per quanto riguarda le tematiche sesta malattia adulti e sesta malattia contagio adulti, è bene sapere che quando l’Herpes Virus di tipo 6 infetta l’adulto, i sintomi sono decisamente più pesanti e che le probabilità di insorgenza aumentano quanto il soggetto è affetto dai AIDS, ha subito un recente trapianto d’organo o, in generale, risulta immunodepresso.
I sintomi sesta malattia adulti, comunque, sono quelli dei quali abbiamo già parlato, tra i quali rientrano irritabilità, congiuntivite, vomito, diarrea e nausea. Non è raro che venga riscontrata al paziente anche una linfoadenopatia diffusa.
In caso di sesta malattia gravidanza, come nei casi di tutte le infezioni virali, implica potenziali rischi di aborto e malformazioni per il feto. Si tratta, in generale, di rischi statisticamente irrilevanti rispetto ad altre malattie più pericolose nei 9 mesi, come la rosolia e il citomegalovirus.
Dopo un periodo di incubazione che dura circa due settimane, insorge la febbre molto alta. Quando cala, compaiono le caratteristiche macchioline rosse e lo sfogo esantematico dura circa 24 ore. I bimbi ammalati sono molto contagiosi nella fase febbrile e comunque fino alla scomparsa dell’esantema.
Per quanto riguarda l’argomento sesta malattia cura, non esiste un vaccino da fare in via preventiva e la terapia è solo di supporto. Da scartare una copertura antibiotica blanda, che è comunque consierata utile solo ed esclusivamente nel caso in cui si debbano affrontare eventuali complicazioni all’apparato respiratorio, per scongiurare le quali bastano una serie di semplici accorgimenti (evitare correnti d’aria e ossigenare l’ambiente).
Vanno somministrati antifebbrili solo se il bimbo è sintomatico: in questo caso si può ricorrere a paracetamolo per via orale (in base all’età, con una distanza minima di somministrazione di tre ore) o sciroppo di ibuprofene (in base al peso, con una distanza minima di somministrazione di 8 ore, 4 ore dal paracetamolo). Il bimbo va tenuto ben idratato. In caso di convulsioni febbrili non si utilizzano anticonvulsivanti: se disponibile, si può somministrare diazepam 0.8 mg/kg per via rettale e portare il bambino al pronto soccorso più vicino, per escludere cause non benigne di convulsioni (peraltro rare).
Le precedenti indicazioni hanno uno scopo puramente informativo e non sostituiscono in alcun caso il parere di un medico.
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]]>L'articolo Cisti ovariche, quando diventano un rischio di infertilità proviene da MammeUp.
]]>Per quanto riguarda cisti ovariche sintomi, possono essere di vario tipo e non è detto che compaiano tutti. Tali sintomi sono più o meno comuni per tutti i tipi di cisti ovariche. Possono includere:
Esiste una maggiore possibilità di provare dolore qualora la cisti ovarica diventi grossa, sanguini, si rompa, interferisca con l’apporto di sangue alle ovaie, venga colpita durante i rapporti sessuali, si torca o causi la torsione delle tube di Falloppio.
Parliamo di cisti ovariche cure. Nella maggior parte dei casi non è necessario un tipo di intervento specifico per curare le cisti ovariche, perché si risolvono spontaneamente nell’arco di qualche mese. Qualora fosse necessaria una terapia, essa dipenderebbe dall’età, dai sintomi e dal tipo e dalla dimensione della cisti in questione. In alcuni casi viene consigliata la vigile attesa, chiamata anche sorveglianza attiva: questa consiste nel monitoraggio della cisti, con periodiche ecografie di controllo. Nelle donne in menopausa viene consigliato di associare anche periodici esami del sangue per i marker tumorali, perché hanno un rischio leggermente aumentato di tumore ovarico.
Per quanto riguarda i farmaci, possono essere prescritti antidolorifici, in caso di dolore, o eventualmente la pillola anticoncezionale (o un tipo di contraccettivo ormonale analogo), per ridurre i rischi di sviluppare altre cisti durante i successivi cicli mestruali. In alcuni casi potrebbe essere necessario ricorrere alla rimozione della cisti ovarica se questa non sparisce dopo molti cicli mestruali, diventa sempre più grande, appare anomala all’ecografia o genera dubbi sulla natura maligna, causa dolore. L’intervento puù avvenire tramite laparoscopia o laparotomia. I casi più gravi potrebbero anche portare alla rimozione di un ovaio o di entrambe le ovaie.
Passando all’argomento cisti ovariche rimedi naturali, c’è chi consiglia di seguire una dieta con alimenti ricchi di fitoestrogeni – come soia, tofu, legumi, cereali integrali, frutta e verdure – così come di ridurre latticini e carne bovina. Altri consigliano di assumere estratto secco di agnocasto, gemmoderivato di lampone (Rubus idaeus) e associazione di oligoelementi zinco e rame. In fitoterpia si usa molto anche fare impacchi di argilla o ricorrere ai fiori di Bach (nello specifico, Chicoy, Honey Suckle, Star of Bethlehem e Walnut). In generale, può essere utile sapere che la pratica regolare e costante di attività fisica regolarizza la produzione ormonale.
Argomento molto delicato è quello delle cisti ovariche in gravidanza. Alcune cisti, infatti, possono essere collegate a un problema di infertilità e dare problemi nel concepimento, mentre altre possono preoccupare in relazione al regolare proseguimento della gestazione. Ovviamente, anche in questo caso deve essere fatta una valutazione caso per caso, ma vediamo insieme alcune informazioni di carattere generale.
Le cisti ovariche in grado di influenzare direttamente la fertilità sono endometrioni e cisti derivandi dalla sindrome dell’ovaio policistico. Al contrario, le cisti funzionali (cistoadenomi e cisti dermoidi) non influiscono sulla possibilità di concepimento, a meno che non diventino molto grandi.
Cisti ovariche e gravidanza, che rischi ci sono? Le cisti ovariche che si sviluppano nei primi tre mesi di gravidanza sono solitamente funzionali, quindi prive di complicanza. Assenza di rischio anche nel caso di cisti con diametro inferiore ai 5 centimetri. Il parto naturale, di norma, è garantito nella maggior parte dei casi. Si ricorre al cesareo solo se la cisti ovarica è voluminosa e situata in un punto tale da ostruire il passaggio del bambino.
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]]>L'articolo Endometriosi: sintomi, cause e cure proviene da MammeUp.
]]>Endometriosi cos’è: ogni mese, sotto l’effetto degli ormoni del ciclo mestruale, il tessuto endometriale che si trova in sedi anomale va incontro a sanguinamento, come accade all’endometrio normalmente presente in utero. Questo comporta un’irritazione dei tessuti circostanti. Si stima che il numero di donne affette da endometriosi sia vicino al 10% di quelle in età riproduttiva: ovviamente si tratta solo di stime e statistiche che possono variare, che tuttavia rendono bene l’idea della portata del problema.
Si tratta di un argomento molto delicato, che preoccupa molte donne: cerchiamo di capire insieme qualcosa di più (precisando che le seguenti informazioni hanno semplicemente uno scopo illustrativo e non sostituiscono in alcun caso il parere del medico).
I sintomi endometriosi sono molto caratteristici. Si tratta di una malattia spesso dolorosa – nel 60% dei casi circa – che può anche diventare invalidante.
Endometriosi sintomi:
In alcuni casi, l’endometriosi è riscontrabile anche in sede intestinale e vescicale, con sintomi tipici di infiammazione e cistite o anche di incontinenza. Le donne affette possono anche manifestare menorraggia, metorragia o dismenorrea.
Ecco cosa c’è da sapere a proposito di endometriosi diagnosi. Per avere un riscontro certo è necessario sottoporsi a visita ginecologica e rettale e ad alcuni esami ematici specifici alla ricerca dei marcatori della malattia, come CA-125 e CA-19.9. In alcuni casi possono essere necessarie la laparoscopia o la laparotomia, esami molto delicati che offrono la possibilità di prelevare porzioni di tessuto sospetto da analizzare in laboratorio. Entrambe sono molto importanti, non solo per fare una diagnosi, ma anche per studiare l’endometriosi e trattare terapeuticamente la malattia e le sue complicanze, ripristinando la normale anatomia.
Un altro esame molto importante è l’ecografia transvaginale: si tratta di un normale esame ecografico, nel corso del quale il medico introduce una sonda a ultrasuoni all’interno della vagina, per osservare in modo dettagliata gli organi pelvici. L’accuratezza dell’ecografia transvaginale è molto elevata e fornisce immagini chiare dello stato di salute.
Passiamo a un altro argomento molto delicato: endometriosi cause. Esistono molte teorie in tal senso, che non si escludono necessariamente a vicenda. La prima ipotesi è quella metastatica, che vede la diffusione di isole endometriali per via linfatica o ematica. Strettamente connessa è la teoria della mestruazione retrografda: durante la mestruazione, piccole parti di tessuto endometriale si muoverebbero in senso inverso nelle tube per poi impiantarsi nell’addome o comunque al di fuori della cavità uterina. Un’altra teoria ricerca le cause nel viaggio metaplastico dei tessuto celomatici.
Endometriosi gravidanza: si tratta indubbiamente di un altro argomento molto delicato. Bisogna, in tal senso, premettere che la malattia si sviluppa indipendentemente dal fatto di aver avuto o meno delle gravidanze, anche se, dopo una gravidanza, qualora presente già prima, sembrerebbe avere una crescita più accelerata. Qualora si soffra di endometriosi, dunque, non è esclusa la possibilità di rimanere incinta.
Ovviamente i casi vanno valutati singolarmente, in relazione alla gravità e all’estensione della malattia. Qualora non ci fossero cisti ovariche voluminose e la funzionalità delle tube non risulti compromessa, le premesse per una gravidanza ci sono. Una volta che la gestazione inizia, il percorso non risente della condizione patologica precente non richiede precauzioni particolari (esclusa l’eventuale sospensione della terapia di cura che si segue).
È dunque giunto il momento di parlare di endometriosi cura. Non esistono, a oggi, terapie definitive per la cura dell’endometriosi, ma si può procedere in diversi modi. In relazione a casi, età, grado di dolore, desiderio di maternità e gravità delle lesioni, si può procedere nei seguenti modi:
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]]>Clamidia cos’è? La prima domanda alla quale rispondere è naturalmente questa. Si tratta di un batterio intracellulare che ha una particolare predilezione per le vie genitali, sia maschili che femminili e che può diventare causa di infertilità in entrambi i sessi. Come avete letto, può interessare sia uomini che donne. Negli uomini, la localizzazione del germe è a livello dei testicoli e può causare dolore ai testicoli e febbre. Nelle donne, una volta contratta, la clamidia può risalire il collo dell’utero all’interno delle vie genitali, dove può anche portare alla formazione di ascessi e aderenze, in grafo di ostruire le tube. Ecco perché è molto importante riconoscerla e intervenire.
Clamidia sintomi: compaiono tra i 7 e i 12 giorni dopo aver avuto rapporti sessuali non protetti con una persona infetta. Bisogna comunque dire che è asintomatica nella grande maggioranza dei soggetti infettati, si stima oltre il 70% delle donne e il 50% degli uomini.
Clamidia sintomi donne:
Qualora sia stata trasmessa tramite rapporto anale, può anche causare proctite (olore rettale, spasmi anali accompagnati da urgente bisogno di defecare, talvolta sanguinamento).
Clamidia trasmissione: la clamidia si trasmette generalmente attraverso i rapporti sessuali di ogni tipo, siano essi vaginali, anali o orali. Una donna gravida infetta, inoltre, può, durante il parto, passare al neonato l’infezione, che si manifesta come un’infiammazione agli occhi e all’apparato respiratoprio. La clamidia è una delle prime cause di congiuntivite e polmonite nei neonati.
Clamidia cura: vista la natura batterica di questa infezione, viene trattata con antibiotici. Gli schemi terapeutici prevedono solitamente l’uso per via orale di azitromicina o tetraciclina. In alternativa, di eritromicina o di un chinolone sempre per via orale. In gravidanza sono indicate amoxicillina o eritromicina, oppure clindamicina. Vanno trattati anche i partner sessuali. A ggu bib p stato sviluppato un vaccino. Il rischio di re-infezione in pazienti esposti a soggetti infetti è molto elevato: le persone infette dovrebbero astenersi da qualsiasi attività sessuale ed effettuare un nuovo test 3-4 mesi dopo la cura. L’uso di preservativi riduce notevolmente il rischio di infezione.
Clamidia gravidanza, un argomento molto delicato. La clamidia in gravidanza può portare a un maggiore rischio di aborto precoce o di rottura prematura delle membrane e parto pretermine. Subito dopo il parto, invece, può causare una endometrite post partum, cioè un’infezione dell’endometrio che provoca febbre. Per quanto riguarda il neonato, come abbiamo spiegato, il batterio al momento del parto potrebbe infettare apparato respiratorio e occhi, causando polmonite o congiuntivite.
La clamidia potrebbe anche diventare un ostacolo alla gravidanza. Il batterio, infatti, può risalire fino alle tube e provocare un’infiammazione pelvica. In questi casi, si creano dei processi di riparazione cicatriziale che possono ostruire le tube rendendo difficile la progressione del prodotto del concepimento, causando infertilità o gravidanze extrauterine.
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]]>Candele, centrotavola, tovaglioli con un tocco più chic, decorazioni di ogni tipo: il bello è lasciarsi trasportare dalla fantasia, seguire la propria creatività approfittando di tantissimi spunti. Nei negozi ci sono moltissimi accessori da utilizzare: non solo i classici set di piatti e bicchieri in ceramica e vetro, ma anche articoli usa e getta per i più pigri. Sappiamo bene, infatti, che in occasione delle festività amici e parenti arrivano in massa: al di là della materiale disponibilità di avere suppellettili a sufficienza, c’è anche il problema di pulire tutto. Non preoccupatevi, dunque, se dovete optare per qualche tovagliolo natalizio di carta o per i sottopiatti usa e getta: sul mercato ce ne sono di carinissimi, dall’effetto assicurato.
Decidere come apparecchiare la tavola a Natale dipende anzitutto dal vostro gusto personale. C’è chi preferisce optare per tovaglie e piatti molto classici e chi, invece, si lascia trascinare dalle ultime tendenze. Non solo stoviglie dalle forme regolari, dunque, ma anche piatti quadrati e bicchieri diversi per acqua e per vino. Vi sentite nel mood giusto per portare in tavola qualcosa di diverso dal solito?
Per quanto riguarda i colori della tavola di Natale, è superfluo spiegare che a farla da padrone sono il rosso e il color oro. Qualora abbiate una tovaglia di famiglia, magari di colore bianco con preziosi ricami, e non abbiate paura di utilizzarla, gli accessori gold daranno uno specialissimo tocco di classe. Con una tovaglia classica, naturalmente, sono più indicati piatti e bicchieri tradizionali o comunque dalle fogge non eccessivamente moderne.
Se non siete fan delle tovaglie e delle apparecchiature classiche, potete anche sfoggiare qualcosa di più creativo, come una tovaglia di Natale con pattern nei colori legati al periodo. Va da sé che, nel caso in cui ci sia già una fantasia, è meglio non appesantire ulteriormente la tavola, optando per decorazioni molto semplici. In linea di massima, avere uno sfondo più neutro, quindi una tovaglia non troppo appariscente, vi offre maggiori spunti, perché vi consente di decorare la tavola in modo molto più creativo. A proposito di decorazioni, è proprio il prossimo argomento che tratteremo.
Per rendere la vostra tavola di Natale più originale, potreste scegliere un tema. Che sia un colore, un elemento della natura o un oggetto, starà davvero a voi capire quale vi piace di più. Qualora sceglieste la natura, ad esempio, potreste realizzare alcuni segnaposto con delle pigne: legate un nastrino colorato, con un cartellino su cui scriverete il nome dell’ospite. Un’altra bell’idea può essere quella di acquistare delle statuine con soggetti natalizi: angioletti, renne, piccoli Babbo Natale e quant’altro, uno per ogni posto.
Ancora, potreste anche mettere per ogni commensale una candela: per ognuno una forma diversa, un piccolo cadeaux che potrà poi essere portato con sé, un regalino in più che renderà felici i commensali. Immancabile, naturalmente, sarà un centrotavola: altrimenti, che tavola di Natale è? L’ideale è una classica ghirlanda, con verde e rosso, ma anche una composizione con fiori e frutta lascerà gli invitati senza fiato. Volete un’idea in più? Decorate la tavola con melagrane aperte a metà: chi lo vorrà, potrà mangiare qualche chicco tra una portata e l’altra!
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]]>Dall’aiuto per le spese scolastiche ai “regali” per partecipare ad attività sportive, da qualche centinaio di euro per l’assicurazione dell’auto all’assistenza medica, i nonni sono fondamentali. Lapalissiano o quasi spiegare il perché. Ancorché noioso, torniamo per un attimo all’iter politico. Se l’emendamento otterrà il fatidico “sì”, i nonni potranno detrarre il 19% delle spese in oggetto. Quindi, utilizzando un linguaggio tecnico più appropriato, si tratta più che altro di un’agevolazione fiscale. Se, giusto per fare un esempio, un nipote fuori sede ha ottenuto un aiuto per pagare l’affitto e i libri, quei soldi possono finire nel calderone dello “sconto” Irpef.
Non tutti i tipi di spesa e non tutte le persone, chiaramente, sfociano nella categoria del bonus nonni. È una sorta di carezza ai parenti in linea retta. Nello specifico:
Quali sono le spese che potrebbero tradursi in uno sconto, come detto, del 19%?
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]]>La buona notizia è che non serve sempre un capitale per avere una casa da copertina. È possibile, infatti, realizzare davvero moltissime decorazioni natalizie fai da te, con costi ridotti, dal risultato di sicuro effetto. La moda del “do it yourself” impazza già da un po’, consentendo a chiunque di trasformarsi in un creativo a tutti gli effetti: manualità e fantasia sono in grado di guidare tutti alla scoperta di un mondo fatto di tante soddisfazioni. Pensate, infatti, a quanto può essere bello far da soli le decorazioni, vederle nascere dalle vostre mani e poi splendere in casa, ammirate da amici e parenti.
Per le mamme, inoltre, può essere una perfetta occasione per trascorrere il tempo con i bimbi, coinvolgerli in un’attività divertente, che stimola la loro creatività. I più piccoli troveranno sicuramente divertente trascorrere del tempo impegnati con carta colorata, colla, adesivi e quant’altro. Le premesse, dunque, sono più che ottime: non resta che scoprire alcuni addobbi natalizi fai da te.
Il feltro è un materiale versatile, dai mille utilizzi. Lo trovate in merceria, di tantissimi colori, e potete utilizzarlo per realizzare segnaposto per la tavola o anche addobbi per l’albero. Realizzare delle semplici stelle o sagome di angioletti e candele in feltro potrà essere molto divertente: basterà creare i vostri “modelli” sul cartoncino, ricalcarli sul feltro e poi ritagliarli. Facendo passare un cordino, avrete le vostre decorazioni.
Partendo da semplici buste di carta, di colore bianco o di un colore a vostra scelta, potete davvero sbizzarrirvi. Applicate con una buona colla nastrini, pigne, campanelli o qualsiasi cosa vi venga in mente per renderle uniche e originali. Qualora abbiate una bella grafia, potete anche scrivere frasi a tema, o augurali, o anche il nome del destinatario del dono: sarà un doppio piacere riceverlo.
Per quanto riguarda le ghirlande, avete solo l’imbarazzo della scelta. Nei negozi di bricolage è possibile acquistare delle apposite basi di forma circolare, in polistirolo o anche della spugna verde utilizzata dai fiorai, sulle quali applicare foglie, fiori, nastri e decori. Il bello è che potete davvero usare i colori che vi piacciono, osando con qualcosa di diverso dai soliti verdi e rossi.
Da un po’ di tempo a questa parte, nei negozi sono in vendita anche delle sfere di Natale di plastica trasparente, che è possibile aprire per inserire al loro interno ciò che si vuole. Pensate, ad esempio, a quanto può essere elegante realizzare delle palle di Natale con al loro interno fiori di stoffa colorati. Per i bimbi, invece, potrebbe essere molto divertente vedere all’interno alcuni dei loro personaggi preferiti. Ancora, c’è anche la possibilità di mettere dentro le sfere le foto a voi più care.
Anche un semplice rotolo di carta può diventare molto decorativo, con un po’ di fantasia! Arrotolatelo intorno a un semplice bastoncino, dopo averlo abbellito con figure a tema natalizio, come stelle e angioletti, e non dimenticate Babbo Natale! Potete anche rendere i bordi come i classici decori di un merletto, utilizzando alcuni appositi strumenti o semplici forbici.
Ebbene sì, avete letto bene: una ghirlanda di popcorn! Forse l’avete vista in tanti telefilm americani e realizzarla è semplicissimo. Preparate i popcorn e fateli seccare per due giorni, quindi armatevi di ago e filo e, con pazienza, infilateli a uno a uno. Risultato natalizio garantito!
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